Imprenditore di Cureggio indagato per autoriciclaggio
L'uomo è già stato condannato in Appello per traffico illecito di rifiuti
Imprenditore di Cureggio Aldo Bosina sotto indagine da parte della Dda per autoriciclaggio. Nuovi guai per il manager già condannato a cinque anni e un mese.
Imprenditore di Cureggio ancora sotto indagine
Nuovi guai per l’imprenditore di Cureggio Aldo Bosina, 58 anni, attualmente ai domiciliari e già condannato in Appello a cinque anni e un mese per traffico illecito di rifiuti in qualità di amministratore di fatto della "Ipb Italia Srl", la società che gestiva il deposito di via Chiasserini a Milano, andato a fuoco nel maxi rogo scoppiato il 14 ottobre 2018, proseguito poi per giorni con l’odore acre che arrivò fino in piazza Duomo. Bosina risulta infatti indagato per autoriciclaggio in una recente inchiesta della Direzione investigativa antimafia – coordinata dalla pm Sara Ombra della Dda milanese – sugli affari in Lombardia della cosca Pesce-Bellocco della ’ndrangheta di Rosarno, nel Reggino.
I fatti al centro delle indagini
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Bosina avrebbe riciclato «parte dei capitali derivanti dalla gestione illecita di rifiuti» attraverso una serie di operazioni commerciali con la "World Trade Srl" di Appiano Gentile, nel Comasco. Nello specifico, secondo l’accusa il 58enne avrebbe acquistato dalla World Trade "ingenti quantitativi di oli combustibili, pellet e un furgone, per un valore complessivo di 228.222.62 euro" nel corso del 2018: motivo per cui, secondo il gip Tommaso Perna che ha nuovamente disposto per Bosina gli arresti domiciliari nella sua abitazione di Cureggio, "deve logicamente dedursi che la provvista per il pagamento delle predette fatture sia derivata alla Ipb Srl (e quindi a Bosina) dall’attività di gestione illecita dei rifiuti" per la quale l’imprenditore "è già stato condannato" in secondo grado, in attesa della Cassazione.
Gli altri indagati
La World Trade di Appiano Gentile era invece gestita da altri tre indagati – gli uboldesi Michele Filippo Cutrì, Vincenzo Papasidero e Antonio Talaia –, accusati di aver provocato in concorso fra loro la bancarotta della società causando "con dolo un deficit fallimentare quantificabile in circa 1.550.000 euro", scrive il giudice nelle 357 pagine di ordinanza di custodia cautelare. Per Cutrì il gip ha disposto la misura dei domiciliari, mentre per Papasidero e Talaia sono state respinte le richieste d’arresto avanzate dalla Procura. Altri cinque indagati (su 16 totali) sono invece finiti in carcere. Fra loro c’è pure Michele Oppedisano, 52 anni, residente nel Lecchese e già condannato nel maxiprocesso "Infinito", nonché nipote del capobastone 90enne della ’ndrangheta Domenico Oppedisano. In cella anche il figlio 22enne di Michele Oppedisano, Pasquale, e Domenico Larocca, di 57 anni. A loro tre viene contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.