Omicidio di Pombia: chiesto l'ergastolo per il presunto mandante
Matteo Mendola fu ucciso nei boschi di Pombia nel 2017
Omicidio di Pombia: il caso approda in Corte d'Assise d'Appello a Torino e la Procura generale chiede una pena esemplare per Giuseppe Cauchi.
Il caso di Pombia in Corte d'Assise d'Appello
Ergastolo per Cauchi? In Corte d’assise d’appello a Torino la procura generale ha chiesto l’ergastolo per l’imprenditore edile gelese Giuseppe Cauchi. La richiesta, formulata al termine delle conclusioni esposte dall’accusa, è arrivata lunedì 21 marzo nell’ambito del processo Mendola, il 33enne anch’esso di Gela, ucciso a colpi di pistola nei boschi di Pombia la sera del 4 aprile 2017. L’imputato è per l’appunto Giuseppe Cauchi, 54 anni, considerato dalla pubblica accusa il mandante del delitto. Nel 2019 era stato assolto in primo grado, ma i pm Mario Andrighi e Carlo Maria Pellicano aveva impugnato e così il procedimento è stato riaperto in Corte di assise di appello a Torino. Cauchi era difeso dagli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo.
I fatti e il processo fino a questo punto
Il fatto al centro del processo risale al 4 aprile di 4 anni fa. Quel martedì Matteo Mendola era stato attirato nei boschi della frazione San Giorgio perché doveva essere ucciso. E così era stato, raggiunto da colpi di pistola, una Makarov calibro 9, e poi finito, con il cranio fracassato, per mezzo di una vecchia batteria d’auto trovata sul posto. "Un delitto particolarmente efferato", aveva commentato il procurato della Repubblica di Novara, Marilinda Mineccia. I carabinieri del Nor di Arona, che avevano ritrovato il cadavere in un vecchio capannone abbandonato ormai in disuso, avevano anche ricostruito il movente, arrivando ad Antonio Lembo, 31 anni di Busto Arsizio, e Angelo Mancino, 41 anni, originario di Monte San Salvino, in provincia di Arezzo. Quest’ultimo, considerato il complice, è stato condannato in via definitiva e con rito abbreviato a 30 anni di reclusione, mentre Lembo, l’esecutore materiale, reo confesso, attende l’esito del ricorso in Cassazione presentato dal suo legale, l’avvocato \Gabriele Pipicelli di Verbania: anche lui deve scontare 30 anni e di recente è stato trasferito dal carcere dove si trovava in un altro “protetto”, per via delle pressioni che avrebbe ricevuto dietro le sbarre ("In carcere ho ricevuto da altri detenuti delle lettere. L’impressione è che qualcuno mi voglia mettere in cattiva luce. Non ho ancora subito minacce dirette. Ma temo che possa accadere").
Il ruolo di Cauchi
Stando a quanto aveva raccontato lo stesso Lembo era stato l’imprenditore Cauchi a dare l’ordine di uccidere il giovane operaio, pare per un regolamento di conti legato al traffico di droga, o forse anche per saldare un presunto debito che il fratello aveva contratto con Cauchi lavorando nei suoi cantieri. Nell’udienza del 7 marzo era saltato per la seconda volta il confronto in aula tra killer e presunto mandante. Lunedì 21, come scritto, la richiesta di ergastolo. La decisione della Corte d’assise d’appello di Torino dovrebbe arrivare ad aprile. I magistrati Pellicano e Andrigo considerano decisivo quanto fu dichiarato da Lembo, mentre per gli avvocati Sinatra e Palumbo, che hanno messo in forte dubbio la fondatezza della versione resa dal killer, che sarebbe incorso in diverse contraddizioni (davanti ai giudici della Corte d’assise novarese, aveva ritrattato), Cauchi non avrebbe mai avuto legami con Mendola. Non ci sarebbero stati, dunque, motivi per ordinarne l’uccisione. I familiari della vittima, che si sono costituiti parti civili con gli avvocati Giancarlo Trabucchi e Anna Maria Brusa, hanno insistito per la condanna.