Odontoiatra di Cameri regala un sorriso ai più bisognosi
Gianmarco Guarneri dal 2009 va in Rwanda.
Regala sorrisi che gli scaldano il cuore. Lui è Gianmarco Guarneri, 62 anni, odontoiatra che ha fatto del volontariato in Rwanda la sua vocazioni. Galeotta fu un’inserzione trovata nel 2009 e da quel momento il medico camerese non si è più tirato indietro.
L'intervista
Partiamo dal primo viaggio: che tipo di realtà ha trovato?
«Scioccante, ovviamente è una realtà completamente diversa dalla nostra e loro devono davvero fare i conti con i bisogni primari. Poi più ci si allontana dalla capitale e più ci si addentra nella povertà dove si trovano situazioni al limite. Si deve fare i conti con la malnutrizione, le case sono fatte di fango, hanno il tetto di paglia e per scaldarsi si può fare affidamento solo sul fuoco con la legna che si recupera. I più fortunati hanno invece il tetto in lamiera, ma anche in questo caso non è che sia proprio una soluzione ottimale».
Come definirebbe la situazione attuale?
«Il Rwanda viaggia a due velocità: nella capitale e nei grandi centri c’è molto fermento, lo Stato investe molto. Ma nelle periferie c’è grande povertà».
Com’era la sua giornata lavorativa?
«L’ambulatorio è aperto dalle 8 alle 20 e non appena si aprono le porte entra un fiume di persone nella sala d’aspetto. Avevamo un pausa pranzo grazie alle suore di una congregazione del messinese e per il resto della giornata tutto lo staff - composto da quattro persone - era sempre molto indaffarato. Ci si apprestava a una prima assistenza, si interveniva con piccole protesi e si cercava di lavorare anche sul concetto di igiene e prevenzione; si cerca di far capire che la cura dei denti è molto importante. Però è chiaro che dove ci siano malnutrizione, povertà e non grande uso di spazzolini sia un po’ complicato... Per cui si fa tutto quello che si può compatibilmente alla situazione».
Un aneddoto?
«Ogni giornata è un giorno bello e ha qualcosa di indimenticabile. La soddisfazione è il sorriso di una persona dopo che le hai applicato anche una piccola protesi regala una grande emozione. Una volta una persona ha sfoggiato in sala d’aspetto un dente nuovo e si è subito sollevato un coro da stadio. Dopo l’anestesia i pazienti tendono ad alzarsi per andare via perché credono che il lavoro sia ultimato, visto che non sentono più il dolore. Vanno trattenuti perché occorre spiegare loro che quello è l’inizio del lavoro e non la fine».
Dal 2009 al 2019 lei si è sempre recato in Africa. Poi lo stop pandemico e la ripresa ad agosto di quest’anno. Cosa le sta dando questa esperienza?
«Da un punto di vista professionale una maggiore attenzione verso le persone e la gestione della clinica. Dal punto di vista umano, tantissimo tant’è che faccio parte di quelle persone affette dal “mal d’Africa”. Infatti il mio pensiero è costantemente proiettato a quando ritornare. Non ho altre esperienze africane con cui confrontarmi, però sarebbe bello fare in modo che si crei una struttura sempre più competente e autosufficiente. Anche se non è un concetto semplice da far passare».
Si sente di lanciare un appello?
«Facciamo riferimento all’associazione Smile Mission di Verona che ha numerosi progetti in varie realtà africane, tutte legate alla figure dei dentisti. Per cui se ci fossero altri professionisti che volessero unirsi al progetto e volessero mettersi a disposizione non c’è che da farsi avanti. Da un lato ci sono progetti italiani legati a un “Dentista per amico” e poi ci sono quelli legati all’Africa. Per cui invito i colleghi che volessero mettersi in gioco nel volontariato a farsi pure avanti».