Tribunale

Morto inghiottito dal lago a Meina: non ci sono colpevoli

Non sono dello stesso avviso i parenti dell'uomo

Morto inghiottito dal lago a Meina: non ci sono colpevoli
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Inghiottito dal lago mentre cercava di recuperare un pedalò alla deriva: la pm chiede l’assoluzione dell’unico imputato.

La tragedia

Non ci sarebbero, dunque, colpevoli. Chiamato a rispondere di omicidio colposo, il titolare (e legale rappresentante) di un residence di Meina, nel Novarese, dove quattro anni fa morì il manutentore e “tuttofare” di 38 anni, è a giudizio al tribunale di Verbania. Nel corso dell’ultima udienza, lunedì 18 settembre, al termine di una lunga e articolata istruttoria, la pm Anna Maria Rossi ha chiesto l’assoluzione, non ritenendo possibile provare il nesso causale tra il decesso dell’uomo e la violazione di precetti infortunistici.

Non c’è prova, ha spiegato la pm, che il datore di lavoro avrebbe potuto fare qualcosa per prevenire l’evento e non c’è prova che fosse prevedibile che il “tuttofare” avrebbe usato il sup per recuperare il pedalò. Di più. L’uomo non sapeva nuotare, non aveva un abbigliamento adatto, non aveva dimestichezza con la tavola e, per quanto emerso nel dibattimento, non sarebbe dovuto intervenire.

I fatti al centro del procedimento, in corso di svolgimento da oltre un anno, risalgono al pomeriggio del 12 aprile 2019, nei giorni precedenti l’avvio della stagione turistica. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Festim Brankollari, albanese residente ad Arona con moglie e figlia piccola, da 12 anni manutentore e “tuttofare” di quella struttura turistica sul lago Maggiore, lungo la statale del Sempione, era uscito su una tavola da stand up paddle per recuperare un pedalò che era andato alla deriva ma, per cause da chiarire, era caduto in acqua morendo annegato. Alla tragedia avevano assistito alcuni testimoni e, in particolare, un cliente di un albergo vicino. Inutili, purtroppo, si erano rivelati i soccorsi subito allertati. Il ritrovamento del corpo era avvenuto soltanto in serata da parte dei sommozzatori dei Vigili del fuoco, nel braccio di lago compreso tra Meina e Angera.

La procura della Repubblica di Verbania aveva aperto un fascicolo d’inchiesta e, sulla scia anche delle risultanze degli accertamenti compiuti dallo Spresal, era emerso che il decesso di Brankollari sarebbe stato originato – secondo l’accusa – dalle misure di sicurezza che il legale rappresentante ora alla sbarra non avrebbe garantito in maniera adeguata. Il processo si è aperto più di un anno fa in tribunale a Verbania, ed è proseguito con l’audizione, tra gli altri, dell’ispettore Spresal chiamato a deporre.

La moglie della vittima, anch’essa impiegata nel residence di Meina, si è costituita parte civile. Nel corso della penultima udienza, prima dell’estate nell’aula di corso Europa a Pallanza, aveva parlato l’imputato, a detta del quale il recupero del pedalò, con quelle modalità, era stata un’iniziativa presa dal 38enne. «Non gli è mai stato detto di recuperarlo, né tantomeno con la tavola». Il recupero del pedalò, peraltro, sembra fosse già stato commissionato alla Lega Navale di Arona. E pare che Brankollari avesse “solo” mansioni di operaio: doveva effettuare piccoli lavori, tra cui pulire il giardino e il solarium, tagliare l’erba e potare le piante. Il suo operato, insomma, non avrebbe previsto l’entrata in acqua.

La moglie e i parenti dell’uomo non sono d’accordo. In aula tra gli altri – lunga la lista dei testimoni che si sono presentati davanti ai due giudici che si sono alternati in tribunale – ha deposto anche il consulente tecnico di parte, che ha ricordato le condizioni meteo non favorevoli al bagno quel pomeriggio di aprile di quattro anni or sono. Lunedì 18 settembre scorso la parte civile ha insistito per la condanna ed il risarcimento, mentre la difesa si è associata alle richieste della pubblico ministero. Il giudice ha rinviato per le repliche e la sentenza al prossimo martedì 26 settembre.

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