Patronale: omelia del vescovo per S. Gaudenzio

Patronale: omelia del vescovo per S. Gaudenzio
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NOVARA – “Due parole risuonano alla nostra mente e al nostro cuore in quest’anno del Giubileo: la famiglia e la misericordia. A partire dalla prima, la famiglia, sentiremo risuonare la seconda, la misericordia. Per me è un bisogno intimo, in questa solennità di San Gaudenzio, patrono della Città e della Diocesi, parlarvi del Sinodo sulla Famiglia. Vorrei farvi sentire l’emozione di come la famiglia è entrata nel Sinodo dei vescovi e come il sinodo è diventato il Sinodo della famiglia”.

Con queste parole, questa mattina, venerdì 22 gennaio, il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, ha aperto la sua omelia per la messa solenne in occasione della patronale di San Gaudenzio. “Ho partecipato come “novizio” dell’assemblea – ha proseguito - ed è stata un’esperienza di cattolicità, di sinodalità, di apostolicità. Sono stati giorni intensissimi di cattolicità dove la Chiesa si è aperta al mondo delle famiglie e alle famiglie del mondo, lasciandosi interrogare, inquietare, quasi travolgere dalle diversissime situazioni delle famiglie da Occidente a Oriente, da Settentrione al Sud del mondo, avvicinandosi a questo roveto ardente dove scorgiamo la vita umana nel suo stato nascente. Sono state settimane di sinodalità, dove abbiamo “camminato insieme”, pregato, ascoltato, parlato, discusso, cambiato la nostra mente e il nostro cuore. È stato un tempo dove la Chiesa con tutti i vescovi del mondo ha rinnovato la sua apostolicità, perché leggendo la differenza incomparabile delle situazioni ha ritrovato l’unità della comune passione del vangelo di Gesù che risuona per la famiglia e con la famiglia”. 

E che cosa è maturato lentamente nell’assemblea dei Vescovi, domanda ai fedeli il vescovo? “Potremmo dirlo con una domanda: Famiglia dimmi chi sei tu per la Chiesa e per il mondo? Ma prima di rispondere a questa domanda, bisogna porsi un interrogativo più radicale: Famiglia chi sei tu per la vita dell’uomo e della donna?  Ecco in modo semplice i tre passi del nostro dialogo. È come parlare a tavola della cosa più importante, quando il papà e la mamma radunano figli e parenti per un evento che decide il futuro della propria casa. Sì, la Chiesa si è fermata attorno a Papa Francesco, e ha posto davanti agli occhi del mondo la cosa che gli sta massimamente a cuore: che la vita nasca, cresca, diventi adulta nel grembo generante della famiglia. Ecco i tre messaggi del Sinodo così come li ho sentiti risuonare nell’aula sinodale”.

 

Innanzitutto, dunque, la famiglia al centro e la rivoluzione della tenerezza. Il primo messaggio “è semplice e decisivo: la famiglia va posta al centro, anzi è il centro della vita della Chiesa e del mondo, non solo perché la famiglia è chiesa domestica e cellula della società, ma perché va custodita in se stessa. La famiglia, come l’uomo e la donna, come il bambino e l’anziano, come il povero e l’indifeso, va considerata un fine e non un mezzo. La famiglia sta al centro perché è la culla della tenerezza, tra uomo e donna, fra genitori e figli, da una generazione all’altra. Proprio perché sta al crocevia di queste relazioni fondanti, quella dell’amore tra uomo e donna, della vita trasmessa da una generazione all’altra e della vita ricevuta come dono e compito, essa ha bisogno della tenerezza. La crisi della famiglia che ha riempito i libri, le pagine dei giornali, i talk show televisivi, ha fatto ascoltare un grido: essa ha bisogno della rivoluzione della tenerezza. Perché uso questa parola così forte: “rivoluzione”? Non certo per un effetto retorico. Bisogna che tutti, Chiesa, società, economia, politica, lavoro, globalizzazione, ascoltino il battito del cuore della famiglia, perché dal suo ritmo dipende la stessa evoluzione dell’umano. Essa non è solo soggetto di diritti e di doveri, questo è il punto di vista sociale. La famiglia è il grembo della vita, è il terreno di coltura dell’umano, è il germe del futuro. La rivoluzione consiste in questo: che non dobbiamo considerare la famiglia per ciò che fa, ma per ciò che è. Per essere vista così necessita di uno sguardo che vede sbocciare l’amore, crescere la vita, educare al futuro, cercare il lavoro, portare la fatica, attraversare il dolore, accettare la morte, nascere la speranza. E tutto ciò non ha forse bisogno di tanta tenerezza?”.

Il secondo messaggio è “La famiglia nella Chiesa: la sfida della misericordia”. “Solo custodendo per la famiglia la rivoluzione della tenerezza, comprenderemo che essa è chiesa domestica e cellula della società. La famiglia ha bisogno, anzitutto, di ritrovare il suo posto nella Chiesa. Qual è stata l’idea forte del Sinodo? Cerco di dirlo in modo semplice: la famiglia va posta al centro dell’azione pastorale! Con un linguaggio più teologico possiamo dire: la famiglia soggetto di evangelizzazione. Qual è, allora, il motore propulsivo del Sinodo? Che la Chiesa diventi sempre più una famiglia di famiglie, perché solo così può mutare anche il volto della società. Questa è la sfida della misericordia. La tenerezza diventa misericordia quando la Chiesa raccoglie la sfida di essere una comunità in cui la famiglia trova casa, dove i giovani scoprono luoghi sani per crescere, gli adulti sono stimolati a una fedeltà creativa, i poveri sentono un’accoglienza non pietistica, gli anziani non sono scartati”.

Terzo messaggio, “La famiglia e la società: la rete di legami buoni”. “Uno dei sociologi più citati del nostro tempo, Zygmunt Bauman, teorico della “società liquida”, cioè di una società che vive i suoi valori e gesti in modo liquido, perché prendono la forma del contesto in cui si collocano, ha scritto un libro intitolato “Voglia di comunità” (2003). Anche la società sente il fascino discreto di essere una famiglia di famiglie, ma non riesce più a costruire appartenenze stabili, ma solo “comunità di pratiche” comuni. Si sta insieme per un certo obiettivo concreto e fin quando ci si sente bene insieme. Cosa significa, invece, un modo di vivere la società, dove sono presi in considerazione i rapporti già dati nella vita, che la società non crea, ma che essa deve riconoscere già presenti? Questa è la situazione: c’è “voglia di legami buoni”, ma senza che ci leghino troppo! Devono essere legami liquidi, anzi quasi gassosi. Una società sana, tuttavia, deve assumere le relazioni originarie già esistenti: il rapporto uomo-donna, la relazione genitori-figli, i rapporti di amicizia, i legami sociali. Una società non si regge se non ha questa rete, questa trama che precede e che rende umani i suoi interventi”.

Da qui un invito a tutti coloro che hanno responsabilità sociale e politica. Costoro “non solo devono fare molto per la famiglia e metterla al centro della loro azione e legislazione, ma possono fare ancor di più con la famiglia. Se la “voglia di comunità” non vuol essere solo emozionale o funzionale, ma reale, anche la vita della nostra città deve scoprire il ruolo centrale della famiglia. Da una società di famiglie patriarcali siamo passati a una costellazione di individui. Con il freddo siderale che attraversa queste costellazioni. Dobbiamo porre rimedio trasformando la “voglia di comunità” in “pratiche di socialità””.

E, riferendosi proprio a questo essere famiglia, all’aiutare l’altro, il vescovo ha parlato di un compito immenso. “Domani inaugureremo l’Emporio solidale per dare alle famiglie la possibilità di salire sopra la soglia di povertà, sotto cui sono scese, con un generoso tentativo di renderle responsabili per il sostentamento della loro vita familiare. In quest’anno del Giubileo della misericordia la città vedrà iniziare la Casa della cooperazione solidale, per offrire accoglienza, lavoro e ospitalità ai bisognosi, perché possano integrarsi e diventare autonomi nel giro di non molto tempo. Al vescovo, con la collaborazione di tutti i gruppi, piacerebbe fare insieme un Giubileo dei disabili con le loro famiglie, per dire che le famiglie che hanno persone con disabilità stanno al centro della Chiesa. E, infine, chiedo, nello spirito di Papa Francesco, di collaborare con tutti quelli che vogliono fare della città una comunità solidale, perché la “voglia di comunità” diventi “una comunità di prossimità”. Buon Giubileo della misericordia!”, ha poi concluso il vescovo.

mo.c.

 

Per saperne di più leggi il Corriere di Novara in edicola sabato 23 gennaio


NOVARA – “Due parole risuonano alla nostra mente e al nostro cuore in quest’anno del Giubileo: la famiglia e la misericordia. A partire dalla prima, la famiglia, sentiremo risuonare la seconda, la misericordia. Per me è un bisogno intimo, in questa solennità di San Gaudenzio, patrono della Città e della Diocesi, parlarvi del Sinodo sulla Famiglia. Vorrei farvi sentire l’emozione di come la famiglia è entrata nel Sinodo dei vescovi e come il sinodo è diventato il Sinodo della famiglia”.

Con queste parole, questa mattina, venerdì 22 gennaio, il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, ha aperto la sua omelia per la messa solenne in occasione della patronale di San Gaudenzio. “Ho partecipato come “novizio” dell’assemblea – ha proseguito - ed è stata un’esperienza di cattolicità, di sinodalità, di apostolicità. Sono stati giorni intensissimi di cattolicità dove la Chiesa si è aperta al mondo delle famiglie e alle famiglie del mondo, lasciandosi interrogare, inquietare, quasi travolgere dalle diversissime situazioni delle famiglie da Occidente a Oriente, da Settentrione al Sud del mondo, avvicinandosi a questo roveto ardente dove scorgiamo la vita umana nel suo stato nascente. Sono state settimane di sinodalità, dove abbiamo “camminato insieme”, pregato, ascoltato, parlato, discusso, cambiato la nostra mente e il nostro cuore. È stato un tempo dove la Chiesa con tutti i vescovi del mondo ha rinnovato la sua apostolicità, perché leggendo la differenza incomparabile delle situazioni ha ritrovato l’unità della comune passione del vangelo di Gesù che risuona per la famiglia e con la famiglia”. 

E che cosa è maturato lentamente nell’assemblea dei Vescovi, domanda ai fedeli il vescovo? “Potremmo dirlo con una domanda: Famiglia dimmi chi sei tu per la Chiesa e per il mondo? Ma prima di rispondere a questa domanda, bisogna porsi un interrogativo più radicale: Famiglia chi sei tu per la vita dell’uomo e della donna?  Ecco in modo semplice i tre passi del nostro dialogo. È come parlare a tavola della cosa più importante, quando il papà e la mamma radunano figli e parenti per un evento che decide il futuro della propria casa. Sì, la Chiesa si è fermata attorno a Papa Francesco, e ha posto davanti agli occhi del mondo la cosa che gli sta massimamente a cuore: che la vita nasca, cresca, diventi adulta nel grembo generante della famiglia. Ecco i tre messaggi del Sinodo così come li ho sentiti risuonare nell’aula sinodale”.

 

Innanzitutto, dunque, la famiglia al centro e la rivoluzione della tenerezza. Il primo messaggio “è semplice e decisivo: la famiglia va posta al centro, anzi è il centro della vita della Chiesa e del mondo, non solo perché la famiglia è chiesa domestica e cellula della società, ma perché va custodita in se stessa. La famiglia, come l’uomo e la donna, come il bambino e l’anziano, come il povero e l’indifeso, va considerata un fine e non un mezzo. La famiglia sta al centro perché è la culla della tenerezza, tra uomo e donna, fra genitori e figli, da una generazione all’altra. Proprio perché sta al crocevia di queste relazioni fondanti, quella dell’amore tra uomo e donna, della vita trasmessa da una generazione all’altra e della vita ricevuta come dono e compito, essa ha bisogno della tenerezza. La crisi della famiglia che ha riempito i libri, le pagine dei giornali, i talk show televisivi, ha fatto ascoltare un grido: essa ha bisogno della rivoluzione della tenerezza. Perché uso questa parola così forte: “rivoluzione”? Non certo per un effetto retorico. Bisogna che tutti, Chiesa, società, economia, politica, lavoro, globalizzazione, ascoltino il battito del cuore della famiglia, perché dal suo ritmo dipende la stessa evoluzione dell’umano. Essa non è solo soggetto di diritti e di doveri, questo è il punto di vista sociale. La famiglia è il grembo della vita, è il terreno di coltura dell’umano, è il germe del futuro. La rivoluzione consiste in questo: che non dobbiamo considerare la famiglia per ciò che fa, ma per ciò che è. Per essere vista così necessita di uno sguardo che vede sbocciare l’amore, crescere la vita, educare al futuro, cercare il lavoro, portare la fatica, attraversare il dolore, accettare la morte, nascere la speranza. E tutto ciò non ha forse bisogno di tanta tenerezza?”.

Il secondo messaggio è “La famiglia nella Chiesa: la sfida della misericordia”. “Solo custodendo per la famiglia la rivoluzione della tenerezza, comprenderemo che essa è chiesa domestica e cellula della società. La famiglia ha bisogno, anzitutto, di ritrovare il suo posto nella Chiesa. Qual è stata l’idea forte del Sinodo? Cerco di dirlo in modo semplice: la famiglia va posta al centro dell’azione pastorale! Con un linguaggio più teologico possiamo dire: la famiglia soggetto di evangelizzazione. Qual è, allora, il motore propulsivo del Sinodo? Che la Chiesa diventi sempre più una famiglia di famiglie, perché solo così può mutare anche il volto della società. Questa è la sfida della misericordia. La tenerezza diventa misericordia quando la Chiesa raccoglie la sfida di essere una comunità in cui la famiglia trova casa, dove i giovani scoprono luoghi sani per crescere, gli adulti sono stimolati a una fedeltà creativa, i poveri sentono un’accoglienza non pietistica, gli anziani non sono scartati”.

Terzo messaggio, “La famiglia e la società: la rete di legami buoni”. “Uno dei sociologi più citati del nostro tempo, Zygmunt Bauman, teorico della “società liquida”, cioè di una società che vive i suoi valori e gesti in modo liquido, perché prendono la forma del contesto in cui si collocano, ha scritto un libro intitolato “Voglia di comunità” (2003). Anche la società sente il fascino discreto di essere una famiglia di famiglie, ma non riesce più a costruire appartenenze stabili, ma solo “comunità di pratiche” comuni. Si sta insieme per un certo obiettivo concreto e fin quando ci si sente bene insieme. Cosa significa, invece, un modo di vivere la società, dove sono presi in considerazione i rapporti già dati nella vita, che la società non crea, ma che essa deve riconoscere già presenti? Questa è la situazione: c’è “voglia di legami buoni”, ma senza che ci leghino troppo! Devono essere legami liquidi, anzi quasi gassosi. Una società sana, tuttavia, deve assumere le relazioni originarie già esistenti: il rapporto uomo-donna, la relazione genitori-figli, i rapporti di amicizia, i legami sociali. Una società non si regge se non ha questa rete, questa trama che precede e che rende umani i suoi interventi”.

Da qui un invito a tutti coloro che hanno responsabilità sociale e politica. Costoro “non solo devono fare molto per la famiglia e metterla al centro della loro azione e legislazione, ma possono fare ancor di più con la famiglia. Se la “voglia di comunità” non vuol essere solo emozionale o funzionale, ma reale, anche la vita della nostra città deve scoprire il ruolo centrale della famiglia. Da una società di famiglie patriarcali siamo passati a una costellazione di individui. Con il freddo siderale che attraversa queste costellazioni. Dobbiamo porre rimedio trasformando la “voglia di comunità” in “pratiche di socialità””.

E, riferendosi proprio a questo essere famiglia, all’aiutare l’altro, il vescovo ha parlato di un compito immenso. “Domani inaugureremo l’Emporio solidale per dare alle famiglie la possibilità di salire sopra la soglia di povertà, sotto cui sono scese, con un generoso tentativo di renderle responsabili per il sostentamento della loro vita familiare. In quest’anno del Giubileo della misericordia la città vedrà iniziare la Casa della cooperazione solidale, per offrire accoglienza, lavoro e ospitalità ai bisognosi, perché possano integrarsi e diventare autonomi nel giro di non molto tempo. Al vescovo, con la collaborazione di tutti i gruppi, piacerebbe fare insieme un Giubileo dei disabili con le loro famiglie, per dire che le famiglie che hanno persone con disabilità stanno al centro della Chiesa. E, infine, chiedo, nello spirito di Papa Francesco, di collaborare con tutti quelli che vogliono fare della città una comunità solidale, perché la “voglia di comunità” diventi “una comunità di prossimità”. Buon Giubileo della misericordia!”, ha poi concluso il vescovo.

mo.c.

 

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