Rapina mortale, 4 anni di buio totale

Rapina mortale, 4 anni di buio totale
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NOVARA  - «Sono passati quattro anni, quattro anni di buio totale, e i miei due figli ed io siamo devastati… letteralmente senza parole… non sappiamo più cosa dire e cosa fare. In una parola ci sentiamo impotenti». Sono le parole di Giuseppe Lombardo, il marito di Ida Lagrutta, la gioielliera aggredita nel tardo pomeriggio appunto di 4 anni fa - era per la precisione il 18 novembre del 2011 -nel negozio “Oro 999” di corso Risorgimento 79. La donna si spense poi in ospedale dieci giorni dopo, il 28 novembre: all’indomani avrebbe compiuto 45 anni. Da allora i famigliari hanno sempre ripetuto: «Nessuno ci ridarà più Ida, ma noi chiediamo verità e giustizia. Su questo caso non deve calare il silenzio». E ora rilanciano l’appello. 

La tragedia avvenne all’interno di quella gioielleria-“compro oro” avviata a fine anni ’90: qualcuno colpì la donna, in quel momento sola nei locali, con un oggetto contundente “non di piccole dimensioni”, come stabilì l’autopsia, e se ne andò, probabilmente a sua volta leggermente ferito, con diversi preziosi e anche denaro contante, lasciando la vittima esanime a terra, in stato di incoscienza. Una agonia durata come detto dieci giorni. Rimangono - purtroppo - solo i fatti così come li visse e li raccontò più volte il marito. Quel tragico tardo pomeriggio, era un venerdì, stava rientrando da Domodossola, dove gestiva una analoga attività (poi chiusa nel 2012 «perché da solo non potevo seguire due negozi»), quando ricevette una telefonata di un amico che lo informava che davanti al negozio della moglie c’erano Forze dell’ordine e Vigili del fuoco. «Sul momento - aveva ricostruito con il “Corriere” - ho pensato a un piccolo incendio, poi l’amico mi ha passato un poliziotto (del caso si occupa la Squadra Mobile della Questura, ndr)... e ho così intuito che era successo qualcosa a mia moglie». Gli agenti erano accorsi perchè l’aggressore (o gli aggressori: non si è mai potuto accertare nemmeno in quanti agirono), per uscire dal “compro oro” aveva cercato il pulsante apriporta schiacciando però inavvertitamente anche quello dell’allarme collegato alla Questura (di Milano, non di Novara) che passò ovviamente la segnalazione ai colleghi. Gli agenti trovarono però la porta chiusa, e dovettero chiamare i Vigili del fuoco per forzarla. Dentro, a terra, Ida Lagrutta. Purtroppo l’impianto di videosorveglianza del negozio non era in funzione, e quindi nessuna immagine a disposizione. E praticamente pochissimi altre elementi che potessero aiutare, o almeno indirizzare, le indagini. Forse una discussione al banco poi degenerata, e un tentativo di sfuggire da parte della donna nel retrobottega, la cui porta fu trovata sfondata: là la donna avrebbe cercato riparo, ma invano. Indagini serrate, ma fin da subito difficilissime. E non aiutarono gli inquirenti alcune tracce di sangue sul marciapiede, a un centinaio di metri dal negozio, direzione Vignale: erano di chi si era accanito contro la gioielliera, il quale, evidentemente, almeno per un certo tratto, si era allontanato a piedi? 

Non fu facile nemmeno quantificare il bottino, visto che il marito sostanzialmente non seguiva nei dettagli l’attività della moglie. Sicuramente diversi orologi, oro e monete, per un valore totale di almeno 150mila, e poi anche contante per 2 o 3 mila euro. Fu ovviamente seguita anche la pista dei ricettatori (e al riguardo ci fu anche un appello dello stesso Lombardo: «Se a qualcuno sono stati proposti i preziosi portati via dal negozio si ricordi che c’e un delitto di mezzo»), ma niente, buio totale. Prese corpo l’ipotesi che ad agire fosse stato qualcuno che era già stato nella gioielleria per individuare i preziosi, poi tornato quella sera per fare il colpo, quindi qualcuno già visto dalla donna: temendo di essere riconosciuto, la avrebbe infine colpita selvaggiamente. Qualche sospettato? Lombardo ha sempre detto: «Non abbiamo mai fatto male a nessuno, abbiamo sempre lavorato tranquilli, non abbiamo nemici». E oggi ripete: «Dopo quattro anni non sappiamo più a cosa pensare. Ogni minimo indizio si è rivelato un fuoco di paglia. Oggi mi arrabbio col caso, la fatalità». 

Una vicenda in incredibile: nessun testimone, nessuna segnalazione. Solo un paio di lettere anonime giudicate inattendibili: prima una presunta pista che portava a zingari rom, poi la targa di un’auto sulla quale sarebbero salite di corsa un paio di persone. Ma in realtà niente, un silenzio totale che indignò il procuratore Saluzzo. Scalpì: «Mi rifiuto di credere che davvero nessuno possa fornire qualche utile segnalazione». Caduto recentemente anche il sospetto di un ipotico collegamento con Salvatore Stentardo, il reo confesso del delitto Milani, oggi sotto processo.

Una cosa è certa, ed è stata recentemente confermata dallo stesso dottor Saluzzo: il caso non è di certo dimenticato, è sul tavolo della Procura e della Squadra Mobile, allora guidata dalla dottoressa Passoni e oggi dalla collega Galli. Gli inquirenti non mollano.

Paolo Viviani

NOVARA  - «Sono passati quattro anni, quattro anni di buio totale, e i miei due figli ed io siamo devastati… letteralmente senza parole… non sappiamo più cosa dire e cosa fare. In una parola ci sentiamo impotenti». Sono le parole di Giuseppe Lombardo, il marito di Ida Lagrutta, la gioielliera aggredita nel tardo pomeriggio appunto di 4 anni fa - era per la precisione il 18 novembre del 2011 -nel negozio “Oro 999” di corso Risorgimento 79. La donna si spense poi in ospedale dieci giorni dopo, il 28 novembre: all’indomani avrebbe compiuto 45 anni. Da allora i famigliari hanno sempre ripetuto: «Nessuno ci ridarà più Ida, ma noi chiediamo verità e giustizia. Su questo caso non deve calare il silenzio». E ora rilanciano l’appello. 

La tragedia avvenne all’interno di quella gioielleria-“compro oro” avviata a fine anni ’90: qualcuno colpì la donna, in quel momento sola nei locali, con un oggetto contundente “non di piccole dimensioni”, come stabilì l’autopsia, e se ne andò, probabilmente a sua volta leggermente ferito, con diversi preziosi e anche denaro contante, lasciando la vittima esanime a terra, in stato di incoscienza. Una agonia durata come detto dieci giorni. Rimangono - purtroppo - solo i fatti così come li visse e li raccontò più volte il marito. Quel tragico tardo pomeriggio, era un venerdì, stava rientrando da Domodossola, dove gestiva una analoga attività (poi chiusa nel 2012 «perché da solo non potevo seguire due negozi»), quando ricevette una telefonata di un amico che lo informava che davanti al negozio della moglie c’erano Forze dell’ordine e Vigili del fuoco. «Sul momento - aveva ricostruito con il “Corriere” - ho pensato a un piccolo incendio, poi l’amico mi ha passato un poliziotto (del caso si occupa la Squadra Mobile della Questura, ndr)... e ho così intuito che era successo qualcosa a mia moglie». Gli agenti erano accorsi perchè l’aggressore (o gli aggressori: non si è mai potuto accertare nemmeno in quanti agirono), per uscire dal “compro oro” aveva cercato il pulsante apriporta schiacciando però inavvertitamente anche quello dell’allarme collegato alla Questura (di Milano, non di Novara) che passò ovviamente la segnalazione ai colleghi. Gli agenti trovarono però la porta chiusa, e dovettero chiamare i Vigili del fuoco per forzarla. Dentro, a terra, Ida Lagrutta. Purtroppo l’impianto di videosorveglianza del negozio non era in funzione, e quindi nessuna immagine a disposizione. E praticamente pochissimi altre elementi che potessero aiutare, o almeno indirizzare, le indagini. Forse una discussione al banco poi degenerata, e un tentativo di sfuggire da parte della donna nel retrobottega, la cui porta fu trovata sfondata: là la donna avrebbe cercato riparo, ma invano. Indagini serrate, ma fin da subito difficilissime. E non aiutarono gli inquirenti alcune tracce di sangue sul marciapiede, a un centinaio di metri dal negozio, direzione Vignale: erano di chi si era accanito contro la gioielliera, il quale, evidentemente, almeno per un certo tratto, si era allontanato a piedi? 

Non fu facile nemmeno quantificare il bottino, visto che il marito sostanzialmente non seguiva nei dettagli l’attività della moglie. Sicuramente diversi orologi, oro e monete, per un valore totale di almeno 150mila, e poi anche contante per 2 o 3 mila euro. Fu ovviamente seguita anche la pista dei ricettatori (e al riguardo ci fu anche un appello dello stesso Lombardo: «Se a qualcuno sono stati proposti i preziosi portati via dal negozio si ricordi che c’e un delitto di mezzo»), ma niente, buio totale. Prese corpo l’ipotesi che ad agire fosse stato qualcuno che era già stato nella gioielleria per individuare i preziosi, poi tornato quella sera per fare il colpo, quindi qualcuno già visto dalla donna: temendo di essere riconosciuto, la avrebbe infine colpita selvaggiamente. Qualche sospettato? Lombardo ha sempre detto: «Non abbiamo mai fatto male a nessuno, abbiamo sempre lavorato tranquilli, non abbiamo nemici». E oggi ripete: «Dopo quattro anni non sappiamo più a cosa pensare. Ogni minimo indizio si è rivelato un fuoco di paglia. Oggi mi arrabbio col caso, la fatalità». 

Una vicenda in incredibile: nessun testimone, nessuna segnalazione. Solo un paio di lettere anonime giudicate inattendibili: prima una presunta pista che portava a zingari rom, poi la targa di un’auto sulla quale sarebbero salite di corsa un paio di persone. Ma in realtà niente, un silenzio totale che indignò il procuratore Saluzzo. Scalpì: «Mi rifiuto di credere che davvero nessuno possa fornire qualche utile segnalazione». Caduto recentemente anche il sospetto di un ipotico collegamento con Salvatore Stentardo, il reo confesso del delitto Milani, oggi sotto processo.

Una cosa è certa, ed è stata recentemente confermata dallo stesso dottor Saluzzo: il caso non è di certo dimenticato, è sul tavolo della Procura e della Squadra Mobile, allora guidata dalla dottoressa Passoni e oggi dalla collega Galli. Gli inquirenti non mollano.

Paolo Viviani

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