Il procuratore Saluzzo e il questore Sarlo hanno incontrato gli studenti sul tema mafie
NOVARA – «La mafia al Nord esiste da tempo immemorabile. Quando sento che c’è chi si domanda quando è arrivata o se c’è o non c’è, mi viene da sorridere». Sono le parole pronunciate giovedì in un convegno da chi, nella sua carriera da magistrato (è in magistratura dal 1977), si è occupato di criminalità organizzata per molti anni, dal 1979 al 1994, ossia l’attuale procuratore della Repubblica di Novara, Francesco Saluzzo.
NOVARA – «La mafia al Nord esiste da tempo immemorabile. Quando sento che c’è chi si domanda quando è arrivata o se c’è o non c’è, mi viene da sorridere». Sono le parole pronunciate giovedì in un convegno da chi, nella sua carriera da magistrato (è in magistratura dal 1977), si è occupato di criminalità organizzata per molti anni, dal 1979 al 1994, ossia l’attuale procuratore della Repubblica di Novara, Francesco Saluzzo.
Occasione dell’incontro, l’iniziativa promossa all’auditorium Bpn dalla Questura con la Fondazione Bpn e dal titolo “Educare alla legalità”. E’ il primo evento del progetto, aperto alle scolaresche (300 gli studenti presenti). Un dibattito intitolato “Mafie al Nord. La capacità di infiltrazioni nel tessuto socio economico del territorio. Mezzi di contrasto dello Stato e della società civile” e che ha visto come relatore anche il Questore di Novara, Giovanni Sarlo. «Non mi posso definire un esperto di criminalità organizzata – ha spiegato quest’ultimo – ma la incontrai, a Torino, con l’uccisione del procuratore Bruno Caccia, era il 1983. All’inizio si pensò alle Brigate Rosse, ma poi scoprimmo che si era in un contesto di ‘ndrangheta calabrese. Diffusa, come emerse, non solo a Torino, ma anche in Costa Azzurra e in Liguria. Personaggi che si erano creati un impero, acquistando anche casinò. La situazione oggi non è cambiata molto. Hanno ampliato, le mafie, il loro potere economico».
«Ho iniziato facendo il pm a Torino – ha detto Saluzzo – In quegli anni Torino era ‘infestata’, la parola è giusta, dai catanesi, un gruppo molto forte. La mafia è quindi presente da molti anni. E’ giunta con quello che veniva definito ‘soggiorno obbligato’. Si mandava lontano dalle loro terre i soggetti legati alla mafia, pensando così di tagliare i contatti con il sistema. Venivano spediti in Piemonte, Lombardia, Val d’Aosta, Alto Adige. Questi, però, ne hanno approfittato. Hanno innestato la loro mentalità al Nord, coinvolgendo non solo persone provenienti dalle stesse zone, ma anche chi era originario del luogo. Ecco gli esempi eclatanti di Bardonecchia. Riformavano lì quella che oggi si chiama ‘locale’, il gruppo. Spodestavano chi aveva attività e si inserivano loro. La presenza catanese era così forte che un processo fu fatto interamente a Torino, perché avevano compiuto più omicidi qui che nelle zone d’origine. Un sistema che negli anni è cambiato, giungendo a essere mafia imprenditoriale. Oggi si vede meno, perché è una mafia ‘con i guanti’, diffusa a livello mondiale. Un modello italiano che, purtroppo, è stato esportato ovunque. Ha saputo infiltrarsi a tutti i livelli, tra le istituzioni, nello Stato, tra le Forze dell’Ordine e, in passato, quando anche ci sono state leggi per intervenire, non si è intervenuti o si è agito con lentezza».
E’ possibile sconfiggerla? «Si può – ha sostenuto il procuratore – basta volerlo. Non è però fattibile solo per via giudiziaria, perché lì è una partita tra guardie e ladri. Va creata una coscienza che abbia schifo della mafia e che metta al primo posto la legalità. Quando l’Italia recupererà il senso di collettività e impareremo a vergognarci di corruzioni e scorciatoie per arrivare al risultato, qualcosa cambierà. Dovete aiutarci voi», ha concluso, rivolgendosi agli studenti.
Monica Curino
Leggi l’articolo integrale sul “Corriere di Novara” di sabato 21 marzo