Anche Novara non deve dimenticare. La “Giornata del Ricordo”, dedicata alle vittime della tragedia delle foibe e agli esuli giuliano - dalmati, è stata celebrata nel capoluogo con una funzione religiosa nella chiesa della Sacra Famiglia, al Villaggio Dalmazia, celebrata da don Emilio Grazioli, cui ha fatto seguito l’ormai tradizionale posa di una corona alla lapide nella vicina piazza Vittime delle Foibe.
Durante la messa, alla quale hanno partecipato rappresentanze delle associazione d’Arma e, fra le autorità, il prefetto Francesco Paolo Castaldo, il vicesindaco di Novara Angelo Sante Bongo e il vicepresidente della Provincia Giuseppe Cremona, don Grazioli nella sua omelia ha ricordato tra l’altro uno dei passi del Vecchio Testamento, quei Dieci Comandamenti dove fondamentale è il “Non uccidere”. Comandamento divino tante volte disatteso, dall’antichità sino ai giorni nostri.
Successivamente hanno preso la parola il presidente del Comitato di Novara dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia Antonio Sardi, ricostruendo i fatti storici accaduti in Istria e nelle località vicine durante la fase conclusiva del secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra, ricordando in particolare la figura della «studentessa Norma Cossetto, violentata e gettata nelle foibe dai partigiani titini», quella che gli “esuli” («Non chiamateci profughi, noi siamo esuli in patria», affermano con decisione tanti di loro, ndr) considerano un po’ «simbolo di tutti i nostri morti».
E poi l’ex parlamentare Gianni Mancuso, che ha ricordato tra l’altro la sua partecipazione, quando sedeva sui banchi di Montecitorio, al voto che istituì la legge del “Giorno del Ricordo”, e infine il sindaco (nel frattempo sopraggiunto) Alessandro Canelli. Il primo cittadino ha invece voluto evidenziare, pur fra difficoltà iniziale, lo slancio che Novara ebbe nell’accogliere, come tante altre località della Penisola, «questi italiani costretti a lasciare le loro terre. Oggi, a tanti decenni di distanza, i loro discenti sono novaresi a tutti gli effetti, ma devono mantenere vivo , come tutti noi, il ricordo di quella tragedia».
Luca Mattioli
Leggi di più sul Corriere di Novara in edicola
Anche Novara non deve dimenticare. La “Giornata del Ricordo”, dedicata alle vittime della tragedia delle foibe e agli esuli giuliano - dalmati, è stata celebrata nel capoluogo con una funzione religiosa nella chiesa della Sacra Famiglia, al Villaggio Dalmazia, celebrata da don Emilio Grazioli, cui ha fatto seguito l’ormai tradizionale posa di una corona alla lapide nella vicina piazza Vittime delle Foibe.
Durante la messa, alla quale hanno partecipato rappresentanze delle associazione d’Arma e, fra le autorità, il prefetto Francesco Paolo Castaldo, il vicesindaco di Novara Angelo Sante Bongo e il vicepresidente della Provincia Giuseppe Cremona, don Grazioli nella sua omelia ha ricordato tra l’altro uno dei passi del Vecchio Testamento, quei Dieci Comandamenti dove fondamentale è il “Non uccidere”. Comandamento divino tante volte disatteso, dall’antichità sino ai giorni nostri.
Successivamente hanno preso la parola il presidente del Comitato di Novara dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia Antonio Sardi, ricostruendo i fatti storici accaduti in Istria e nelle località vicine durante la fase conclusiva del secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra, ricordando in particolare la figura della «studentessa Norma Cossetto, violentata e gettata nelle foibe dai partigiani titini», quella che gli “esuli” («Non chiamateci profughi, noi siamo esuli in patria», affermano con decisione tanti di loro, ndr) considerano un po’ «simbolo di tutti i nostri morti».
E poi l’ex parlamentare Gianni Mancuso, che ha ricordato tra l’altro la sua partecipazione, quando sedeva sui banchi di Montecitorio, al voto che istituì la legge del “Giorno del Ricordo”, e infine il sindaco (nel frattempo sopraggiunto) Alessandro Canelli. Il primo cittadino ha invece voluto evidenziare, pur fra difficoltà iniziale, lo slancio che Novara ebbe nell’accogliere, come tante altre località della Penisola, «questi italiani costretti a lasciare le loro terre. Oggi, a tanti decenni di distanza, i loro discenti sono novaresi a tutti gli effetti, ma devono mantenere vivo , come tutti noi, il ricordo di quella tragedia».
Luca Mattioli
Leggi di più sul Corriere di Novara in edicola