Shirin Ebadi ad Arona: «Il fiore della democrazia è di tutti noi»
Il Premio Nobel per la pace 2003 ospite nell'incontro promosso dal "Teatro sull'acqua".
Shirin Ebadi ad Arona: «Il fiore della democrazia è di tutti noi». Il Premio Nobel per la pace 2003 ospite nell'incontro promosso dal "Teatro sull'acqua".
Shirin Ebadi ad Arona: «Il fiore della democrazia è di tutti noi»
«Un ricercatore dal grande valore. Si è recato in Iran ed è stato arrestato, accusato di essere una spia. Ho parlato con il suo avvocato e mi ha detto che la sua condanna a morte non poggia su nessun fatto o prova. Come lui ci sono almeno altre 35 persone con doppia cittadinanza che si trovano nella stessa situazione, in carcere, tenute in ostaggio per essere scambiate con prigionieri iraniani in Occidente o per soldi. Spero tanto che lui e gli altri siano liberati al più presto». Da quel paese, l’Iran, che sta tenendo incarcerato a Teheran con l’accusa di aver collaborato con Paesi nemici Ahmadreza Djalali, medico per il quale si è mobilitata l’intera comunità scientifica, è stata costretta ad andarsene anche Sharin Ebadi, la prima donna giudice nella storia del suo paese.
«La situazione iraniana peggiora ogni giorno»
Della vicenda del medico che ha lavorato a Novara all’Università del Piemonte Orientale, ne ha parlato il Premio Nobel per la Pace nel 2003 in una affollata piazza San Graziano ad Arona. Dal 2009 non è tornata più nel suo Paese, la sua missione è «far arrivare la voce del mio popolo» e far conoscere ciò che succede in Iran isolato dalle politiche sbagliate che lo stanno indebolendo tra povertà e corruzione diffusa. «La situazione iraniana peggiora ogni giorno, purtroppo –ha spiegato- Oltre alla violazione dei diritti umani aumenta la povertà, il prezzo della valutata è diminuita del 70%. L’Iran sta diventando poverissimo, così come avvenuto in Venezuela. Sono critica con la politica americana, ma la situazione è difficile con o senza Trump». E’ positiva sul futuro: «Il movimento femminista è forte, molti giovani sono contro il regime e lo combattono, sono sensibili verso le politiche sociali. L’Iran ha il più alto numero di fuga di cervelli, però per fortuna chi lascia la patria non la dimentica. Ogni persona deve stare dove può essere davvero utile».
«Per avere la pace ci vuole democrazia e giustizia sociale»
Come ha fatto Ebadi, da tempo vive in esilio volontario «non sono tornata non per paura di andare in carcere», ma per amore del suo popolo, sfidando le contraddizioni di una società segnata dall’oppressione. Attivista per i diritti umani viaggia il mondo 10 mesi all’anno attraverso un’intensissima attività di propaganda e di battaglia legale. Il messaggio che rivolge all’Occidente «non non vendete le armi, non accettate i soldi sporchi della corruzione, non chiudete contratti economici e gli occhi sui diritti umani». Proprio nella settimana internazionale della Pace ne ha dato la sua interpretazione nel XI secolo: «Non è solo dove non c’è guerra, ma l’insieme delle condizioni che permettono a una persona di vivere mentendo la propria dignità. Per avere la pace ci vuole democrazia e giustizia sociale. Rispettare i diritti umani vuol dire rispettare le idee delle minoranze. Il fiore della democrazia è di tutti noi», uno spirito da coltivare.
«Arricchite la vostra insalata»
«Il dovere dei cittadini non è solo andare a votare, ma controllare e sorvegliare ogni giorno i rappresentanti che avete scelto. Se non ci siete voi i governi diventano regimi totalitari. Le persone che migrano possono essere una possibilità per la crescita dell’economia europea: non mandateli ai margini della società. Insegnategli la lingua e un mestiere perché possano lavorare. Se non li guardate possono diventare pericolosi. La diversità sta nella cultura: è come un’ insalata, dove ogni ingrediente conserva il proprio sapore ma insieme agli altri crea un gusto buono. Arricchite la vostra insalata – il messaggio lanciato - La democrazia ha un prezzo. Imparate dai vostri nonni come hanno affrontato il fascismo» – ha aggiunto intonando in chiusura Bella Ciao: «agli iraniani piace molto, lo hanno tradotto, per loro un inno rivoluzionario».
Maria Nausica Bucci