Fabo&Dominique. E Novara s'interroga

Fabo&Dominique. E Novara s'interroga
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Una vicenda che interroga e chiede di non giudicare di fronte all’indicibile sofferenza che deve avere accompagnato Fabiano Antoniani, Dj Fabo, andato a morire in Svizzera, e i suoi familiari e al dolore che ora abita questi ultimi. La sua scelta è la stessa compiuta due anni fa dalla borgomanerese Dominique Velati (nella foto sulla destra impegnata in un volantinaggio).Tuttavia non si può ignorare una sorta di disinformazione che l’ha preceduta, accompagnata, e che continua a fare di questa

Una vicenda che interroga e chiede di non giudicare di fronte all’indicibile sofferenza che deve avere accompagnato Fabiano Antoniani, Dj Fabo, andato a morire in Svizzera, e i suoi familiari e al dolore che ora abita questi ultimi. La sua scelta è la stessa compiuta due anni fa dalla borgomanerese Dominique Velati (nella foto sulla destra impegnata in un volantinaggio).Tuttavia non si può ignorare una sorta di disinformazione che l’ha preceduta, accompagnata, e che continua a fare di questa tragedia una battaglia politica e ideologica. Anzitutto per il rispetto dovuto a una persona che ha fatto la scelta umanamente più drammatica e definitiva. Poi perché questo cortocircuito informativo confonde il dibattito sul testamento biologico con quello sull’eutanasia e sul suicidio assistito, senza offrire elementi di giudizio chiari e oggettivi. Per questo abbiamo chiesto degli interventi chiarificatori da parte di chi vede e vive questo problema da punti di vista diversi, ricordando che proprio la prossima settimana sarà discusso alla Camera il disegno di legge sul testamento biologico.

Interventi come quello di Venerando Cardillo, medico responsabile delle cure palliative dell'Asl di Novara: "Pensiamo poco alla morte e alla vecchiaia, spesso riconduciamo quest'ultima alla stregua di malattia e non ad un evento naturale, ancora meno pensiamo alla morte - dice - Sarà più facile rivendicare ed ottenere il diritto ad essere curati e a vivere dignitosamente fino all’ultimo, se sapremo vincere la consolidata ritrosia a parlare della morte quasi questa fosse un evento che riguarda solo gli altri.
Quando torneremo a considerarci mortali in una realtà in cui la scienza ha il limite ineluttabile del tempo biologico, potremo rivendicare i nostri diritti come società, come famiglia, come singoli.
La morte fino a non molti anni fa si pensava riguardasse più la religione e la pietà, che la scienza e la medicina. Ma spiritualità e pietà e non possono bastare.
La scienza i cui risultati vengono intesi a volte  come il mezzo non per vivere di più e meglio, ma per vivere “comunque”, ha creato aspettative esagerate e a volte immotivate .
Scenari inediti si sono aperti in ogni campo del vivere rendendo possibile cose prima impensabili o, se pensabili, irrealizzabili e farci sopravvivere ad eventi prima letali, situazioni straordinarie di vita sospesa. Una “non vita”, gravata  da  problemi etici enormi che ha risvolti pratici con sofferenza che si aggiunge a sofferenza. Una sopravvivenza in cui  chi è coinvolto, peraltro incomprensibilmente, non ha titolo a decidere delle cose che lo riguardano.
Le cure palliative sono la prima risposta e garanzia del diritto ad essere curato, conditio  sine qua non a qualsiasi altro discorso sui diritti, perché nessuna decisione sul fine vita sia frutto di solo dolore o disperazione. Ma non possiamo dimenticare  che una parte di malati terminali chiedono di determinare anticipatamente tempo e luogo del loro morire, quando la prognosi è breve, la morte ineluttabile e soprattutto nel caso si arrivasse ad una situazione in cui fossero incapaci di intendere e di volere.
Morire non è un evento puntiforme, ma un processo a volte innaturalmente più lungo e di degrado totale. E' per questi  pazienti che abbiamo l'obbligo  di dare risposta.
Occorrono leggi! L’eutanasia clandestina probabilmente si pratica, e come tutte le cose eseguite senza regole e di nascosto è intrinsecamente pericolosa
E' ora che si affrontino questi problemi prospettando soluzioni concrete, almeno per quelle situazioni in cui il consenso potrebbe essere ampio: il testamento biologico per le scelte di fine vita, nel fine certo della vita.
I termini   testamento biologico,  direttive di fine vite  e  dichiarazioni anticipate possono essere usati in modo strumentale per rendere o non rendere determinanti gli effetti che ne derivano.
La Direttiva e il testamento hanno la dignità di una disposizione inderogabile.
La Dichiarazione esprime un parere, enuncia una volontà ma non è vincolante.
Chi usa un termine piuttosto che un altro di solito ha ben chiara la differenza e non vuole dire o promuovere la stessa cosa.
 Il testamento biologico è lo strumento appropriato per testimoniare la volontà di chi capace giuridicamente lo compila, di accettare o negare eventuali trattamenti di mantenimento in vita  nel caso in cui la possibilità di relazione con gli altri fosse irrimediabilmente compromessa. Se nel testamento biologico, depositato presso il notaio o più semplicemente autenticato dal sindaco, viene indicato un curatore degli interessi del compilatore con delega espressa e dettagliata a decidere di fare o non fare determinate e specifiche cose, può essere assicurata la validità e la contestualizzazione  della decisione al momento in cui l’evento si verifichi.
Una proposta di legge  nata sulla spinta emotiva del caso allora in atto Eluana Englaro è stata fermata alla camera e mai più ripresa.  Si diceva favorevole alle dichiarazioni anticipate, che però non dovevano essere vincolanti per il medico, avversava la sospensione della idratazione e nutrizione artificiale, anche quella che si avvale di mezzi sofisticati per la somministrazione, chiudeva a qualsiasi atto che si poteva configurare, anche per omissione, ad un atto che poteva produrre direttamente o indirettamente la morte. Di fatto la questione degli interventi di “sostegno vitale” alimentazione ed idratazione, necessari al mantenimento in vita del malato era stata sollevata per depotenziare /annullare l'utilità del testamento biologico.
Non arriveremo mai a nulla fino a quando, abbandonando i sofismi, non andremo alla sostanza del problema e decideremo che occorre stabilire se il diritto all'autodeterminazione debba essere prevalente alla difesa della vita comunque vissuta e voluta.  Occorrono leggi per garantire la libertà a tutti.
Libertà di attenersi ai dettami del proprio credo  o della propria coscienza, non per decidere della vita o della morte degli altri, ma della propria, soprattutto quando la malattia è inguaribile e la prognosi infausta a breve. Il mondo laico protegga gli altri mondi, trovi spunti da essi ma non si faccia dettare le leggi.  Libertà di religione difesa fino al sangue ma anche libertà di essere laici. Vogliamo vivere in uno stato che scriva le sue leggi in punto di diritto e non in punto di fede. Si vuole una legge non che preveda di dare la morte  a chicchessia, ma che riconosca diritti solo a chi voglia avvalersene.
Comunque sappia chi oggi si spende per la vita a tutti i costi che le parole non bastano  ad esse deve seguire la costruzione di una rete di assistenza capace di farsi carico dei mille problemi del lungo sopravvivente e della sua famiglia, dei mille problemi di quelli che hanno loro stessi deciso di vivere, ma che hanno attenzione solo quando minacciano di voler morire".

Leggi tutti gli interventi sul Corriere di Novara di giovedì 2 marzo 2017

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