Medici in fuga dagli ospedali verso privato e libera professione
Alla Scuola di specializzazione in Medicina d’urgenza dell’Upo solo 2 iscritti
Aggressioni, contenziosi, turni di lavoro spesso massacranti, retribuzioni non adeguate... I medici “fuggono” dagli ospedali e si indirizzano verso quelle branche della professione che offrono maggiori sbocchi nel privato o nell’attività ambulatoriale.
Lo racconta Laura Cavalli sul Corriere di Novara
Un fenomeno preoccupante anche in Piemonte
I sempre più numerosi episodi di violenze nei confronti del personale medico (l’ultimo solo quale giorno fa, il 23 ottobre, al centro di salute mentale dell’Asl di viale Roma) sono certamente la punta dell’iceberg e il fattore scatenante di un fenomeno in realtà ben più complesso che rischia di creare gravi difficoltà al Servizio sanitario nazionale.
Il problema, che riguarda un po’ tutte le regioni italiane, si sta avvertendo forte anche in Piemonte e ci sono scuole di specializzazione che fanno sempre più fatica a coprire i posti disponibili, prime fra tutte proprio quelle prettamente “ospedaliere e pubbliche” che sono state protagoniste nella lotta pandemica, come la Medicina d’emergenza urgenza.
«Dopo anni di errori nella programmazione della formazione medica - commenta il consigliere regionale Domenico Rossi, vicepresidente della Commissione sanità - oggi siamo di fronte a un fenomeno nuovo. Le borse ci sono, ma alcune specialità non vengono scelte. Si tratta di quelle ritenute più faticose e che non permettono lo sbocco nel privato. Assistiamo a una trasformazione profonda anche delle motivazioni alla base della scelta della professione medica che non possiamo affrontare senza un ripensamento complessivo del sistema».
I dati
Una analisi sulla quale non può che concordare il professor Giancarlo Avanzi, rettore dell’Università del Piemonte Orientale: «I dati sono allarmanti: i giovani medici disertano alcune scuole di specializzazione e si orientano verso quelle che offrono maggiori sbocchi nel privato o nella libera professione. E il problema non è la mancanza di medici in sè: in Italia ne abbiamo 4,1 ogni mille abitanti, un dato superiore a quello di molti altri Paesi».
Quello che però emerge, secondo Avanzi, è «una disaffezione verso il Servizio sanitario nazionale», che da fiore all’occhiello del nostro Paese sta ora diventando un luogo dal quale fuggire. Le cause, dice il rettore, sono molteplici: «Di base c’è il fatto che i giovani non sono più disposti ad accettare sacrifici importanti per una professione che sta diventando sempre più difficile. Fare il medico in ospedale, in particolare nel settore dell’emergenza - urgenza (e Avanzi lo sa bene, essendo anche il direttore della Struttura di Medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza dell’Aou di Novara, ndr), comporta turni impegnativi e un carico di stress notevole. Se a questo ci aggiungiamo l’aumento dei contenziosi e i sempre più numerosi casi di aggressioni o violenze al personale sanitario, il quadro si completa».
Il risultato è che - avverte Avanzi - «se andiamo avanti di questo passo, a breve non riusciremo più a trovare medici per il Pronto soccorso e saremo costretti a rivolgerci all’estero...».
D’altra parte, i dati anche all’Upo parlano chiaro. Alla scuola di specializzazione in Medicina d’emergenza - urgenza, i posti disponibili sono 19, «ma quelli occupati sono soltanto 2, con una copertura del 10,53% - dice Avanzi - E non consola certo il fatto che alla Sapienza di Roma o al San Raffaele di Milano lo stesso corso abbia addirittura zero iscritti...».
Ma a “soffrire” sono anche specialità come Anestesia e rianimazione, dove su 49 posti disponibili gli immatricolati sono soltanto 12, Nefrologia (7 posti, 1 solo assegnato), Igiene e medicina preventiva (14 posti, 3 assegnati), Radioterapia (4 posti, nessuna richiesta). In compenso, registrano il 100% di copertura le scuole di specializzazione in Ginecologia e ostetricia (8 posti), Endocrinologia (4 posti), Otorinolaringoatria (5 posti).
"Occorre una riflessione profonda"
Secondo il rettore, «è necessaria una riflessione profonda a livello nazionale, se non vogliamo che, tra qualche anno, alcune specialità finiscano con l’andare completamente deserte. E’ un problema che va risolto a monte, a partire da una riorganizzazione delle cure territoriali e degli ospedali».
Una analisi su cui concorda il consigliere regionale Rossi, convinto che serva «mettere mano ad alcuni elementi di base che rendano maggiormente appetibile il pubblico rispetto al privato: occorre intervenire sulla formazione degli studenti già durante il corso di laurea in medicina, pagare di più i lavoratori e i professionisti, rendere le strutture più accoglienti e gli orari di lavoro più compatibili con una buona qualità della vita. Così come occorre lavorare per un’edilizia sanitaria rinnovata e su progetti di attenzione al personale da parte delle aziende sanitarie».