“Siamo tutti francesi”
La Francia torna nel mirino del terrorismo come già lo fu all'inizio del 2015 con la strage a Charlie Hebdo. E’ accaduto ieri sera intorno alle 22. Sette attacchi contemporanei, kamikaze allo stadio di Francia-Germania, sparatorie in luoghi pubblici e presa di ostaggi poi uccisi ad uno ad uno al teatro Bataclan dove era in corso un concerto rock. Sono almeno 128 i morti - per la maggior parte spettatori del concerto - e 192 i feriti, di cui 99 in modo grave. Secondo la procura gli attentatori deceduti sarebbero 8, ma è possibile che altri complici siano in fuga. Nel mondo azioni di solidarietà in gran parte auto-organizzate. La reazione ufficiale è durissima. Il presidente Francois Hollande - che ieri era probabilmente tra gli obiettivi degli attacchi, perché era presente allo Stade de France - è tornato a parlare alla nazione in diretta tv: “E' un atto di guerra pianificato dall'esterno con complicità interne", un "atto di guerra compiuto dall'esercito dell’Is”. Lo stato d'emergenza annunciato ieri, con la chiusura delle frontiere, sta avendo i primi effetti: ore di coda in uscita dagli aeoporti, rafforzati i controlli alle frontiere italiane del Frejus e del Monginevro, che sono comunque apertie
* * *
Questi i fatti. Che dire? A gennaio la comunità internazionale occidentale è scesa in piazza al grido di “siamo tutti Charlie Hebdo” per affermare che quell’attacco era destinato all’Europa, agli occidentali, alla nostra cultura, a quel sistema di relazioni umane fondato sulla pace e la civiltà. Ecco, oggi possiamo semplicemente ribadire che “siamo tutti francesi”, perché oggi è toccato a loro e domani potrebbe toccare a noi. E se si tratta di difendere i valori di una civiltà costruita sulle macerie di due guerre mondiali e di milioni di morti, è certo il momento di far salire alto proprio questo altolà: di qui non si passa, anche da Novara, anche da Biella, anche dal Piemonte che dista poche ore di treno ed aereo da Parigi e che ha pagato un duro prezzo nel Novecento per garantire oltre 70 anni di pace.
Il filosofo francese e politologo Bernard Henri Levy in un recente reportage frutto di esperienze personali al fronte kurdo-siro-iracheno ha scritto che lo stato islamico non avrà futuro per mille e una ragione ma soprattutto per l’inconsistenza dei suoi combattenti, ma di sicuro il proselitismo ideologico “fuori casa” una presa dimostra di averla su menti religiosamente malate. C’è poi anche chi afferma, come Vittorio Strada, il papà di Emergency, “che le nostre scelte di guerra oggi ci presentano il conto”.
I terroristi di oggi, sono subdoli, dichiarati solo in casa propria, operano dietro le quinte e colpiscono famiglie allo stadio o ragazzi ad un concerto. Questo è il nostro 11 settembre, un prezzo che non siamo disposti a pagare e in questo senso la Francia, l’Italia, l’Europa devono dirlo chiaro e forte. Non finirà qui. Lo sappiamo, ma la guardia civile e i livelli di sicurezza vanno tenuti alti. Anche nelle nostre città. Dunque, bene fanno i sindaci che chiamano a raccolta i cittadini in piazza. Subito!
Roberto Azzoni
La Francia torna nel mirino del terrorismo come già lo fu all'inizio del 2015 con la strage a Charlie Hebdo. E’ accaduto ieri sera intorno alle 22. Sette attacchi contemporanei, kamikaze allo stadio di Francia-Germania, sparatorie in luoghi pubblici e presa di ostaggi poi uccisi ad uno ad uno al teatro Bataclan dove era in corso un concerto rock. Sono almeno 128 i morti - per la maggior parte spettatori del concerto - e 192 i feriti, di cui 99 in modo grave. Secondo la procura gli attentatori deceduti sarebbero 8, ma è possibile che altri complici siano in fuga. Nel mondo azioni di solidarietà in gran parte auto-organizzate. La reazione ufficiale è durissima. Il presidente Francois Hollande - che ieri era probabilmente tra gli obiettivi degli attacchi, perché era presente allo Stade de France - è tornato a parlare alla nazione in diretta tv: “E' un atto di guerra pianificato dall'esterno con complicità interne", un "atto di guerra compiuto dall'esercito dell’Is”. Lo stato d'emergenza annunciato ieri, con la chiusura delle frontiere, sta avendo i primi effetti: ore di coda in uscita dagli aeoporti, rafforzati i controlli alle frontiere italiane del Frejus e del Monginevro, che sono comunque apertie
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Questi i fatti. Che dire? A gennaio la comunità internazionale occidentale è scesa in piazza al grido di “siamo tutti Charlie Hebdo” per affermare che quell’attacco era destinato all’Europa, agli occidentali, alla nostra cultura, a quel sistema di relazioni umane fondato sulla pace e la civiltà. Ecco, oggi possiamo semplicemente ribadire che “siamo tutti francesi”, perché oggi è toccato a loro e domani potrebbe toccare a noi. E se si tratta di difendere i valori di una civiltà costruita sulle macerie di due guerre mondiali e di milioni di morti, è certo il momento di far salire alto proprio questo altolà: di qui non si passa, anche da Novara, anche da Biella, anche dal Piemonte che dista poche ore di treno ed aereo da Parigi e che ha pagato un duro prezzo nel Novecento per garantire oltre 70 anni di pace.
Il filosofo francese e politologo Bernard Henri Levy in un recente reportage frutto di esperienze personali al fronte kurdo-siro-iracheno ha scritto che lo stato islamico non avrà futuro per mille e una ragione ma soprattutto per l’inconsistenza dei suoi combattenti, ma di sicuro il proselitismo ideologico “fuori casa” una presa dimostra di averla su menti religiosamente malate. C’è poi anche chi afferma, come Gino Strada, il papà di Emergency, “che le nostre scelte di guerra oggi ci presentano il conto”.
I terroristi di oggi, sono subdoli, dichiarati solo in casa propria, operano dietro le quinte e colpiscono famiglie allo stadio o ragazzi ad un concerto. Questo è il nostro 11 settembre, un prezzo che non siamo disposti a pagare e in questo senso la Francia, l’Italia, l’Europa devono dirlo chiaro e forte. Non finirà qui. Lo sappiamo, ma la guardia civile e i livelli di sicurezza vanno tenuti alti. Anche nelle nostre città. Dunque, bene fanno i sindaci che chiamano a raccolta i cittadini in piazza. Subito!
Roberto Azzoni