Tanti angeli senza ali in camice bianco

Tanti angeli senza ali in camice bianco
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GRANOZZO CON MONTICELLO - «In un Paese in cui si parla tanto di malasanità, di scandali che fanno notizia e destano scalpore quasi ogni giorno, voglio raccontare una storia diversa. Una storia di settimane strazianti sostenute da angeli senza ali ma in camice bianco; professionisti di corsia preparati e scrupolosi ma al tempo stesso persone di straordinaria umanità e di cuore. A tutti loro devo la mia vita e il mio grazie riconoscente per aver tentato davvero l’impossibile, fino all’ultimo caparbio tentativo, per salvare il mio bimbo che purtroppo, abbandonato l’ostinato quanto comprovato inutile accanimento terapeutico, non ce l’ha fatta». 

Il grazie accorato è di mamma Katiuscia - giovane moglie e già mamma di due bambine, residente a Monticello - al termine di settimane di calvario scaturite dalla sua terza gravidanza, subito inquadrata “a rischio”. Eppure quel percorso si è rivelato al tempo stesso un viaggio nella buona, «anzi ottima» sanità piemontese testata sulla propria pelle. Mentre la futura mamma, alla 29° settimana di gestazione, ai primi di gennaio si trovava in città con un’amica per gli ultimi acquisti in un negozio, un malore improvviso dovuto – poi si saprà – al distacco della placenta. La corsa in ambulanza in ospedale, al “Maggiore” di Novara; da lì subito in sala operatoria per far nascere il piccino, «nato praticamente morto ma subito rianimato in terapia intensiva e il fatto che pesasse già 1,5 kg lasciava ben sperare – spiega. – Ma ho rischiato di morire anch’io. Invece mi hanno salvata, ridando una moglie al proprio marito e una madre a due bimbe. E di questo sono molto grata a tutti». Critica, purtroppo, la situazione del neonato: «Dopo nove giorni dal parto cesareo, il piccolo ha accusato un’emorragia cerebrale – spiega la mamma – Il peggioramento ha costretto i medici di Novara alla richiesta di trasferimento all’ospedale “Sant’Anna” di Torino per un’operazione al “Regina Margherita”. Condotta da un neurochirurgo infantile dell’ospedale “Regina Margherita” di Torino, mio figlio sfortunatamente non ha reagito e dopo circa un mese senza alcun miglioramento o cenno di ripresa, non si è potuto fare altro che riportarlo in ospedale a Novara, dove comunque non sono mai mancate cure e attenzioni. Ho potuto vedere con i miei stessi occhi con quanta dedizione, professionalità, determinazione, tutti abbiamo tentato disperatamente di salvarlo. Sul piano medico, ma anche umano, è stato fatto davvero l’impossibile e questa è la mia unica grande consolazione. In tutte queste settimane in giro per ospedali, mai una pecca, mai un indugio, né un ritardo. Tanto affetto, comprensione, dedizione e diagnosi corrette e immediate. Ho conosciuto reparti all’avanguardia, staff medico-infermieristici fantastici e questo bisogna dirlo e ribadirlo: io non ho davvero parole e ho pensato di rivolgermi al giornale della città affinché mi facesse da cassa di risonanza. Ci sono medici, infermieri, ostetriche, oss straordinari che lavorano ogni giorno in silenzio con estrema dedizione, attenzione, e che non ci hanno mai lasciati soli, il mio bambino ed io. Intuendo ancor prima delle mie richieste quello di cui avevo bisogno, come nel caso della flebite che mi ha martoriato le braccia. Qui a Novara eravamo “i due miracoli” dell’ospedale. E tutti hanno iniziato a tifare per il mio piccino, a chiedermi sempre aggiornamenti, notizie, ad interessarsi con tanto cuore. A Torino stesso clima, stessa accoglienza e trattamento. Sono moltissime le persone che sento di dover ringraziare, una ad una», sottolinea commossa. 

Arianna Martelli

GRANOZZO CON MONTICELLO - «In un Paese in cui si parla tanto di malasanità, di scandali che fanno notizia e destano scalpore quasi ogni giorno, voglio raccontare una storia diversa. Una storia di settimane strazianti sostenute da angeli senza ali ma in camice bianco; professionisti di corsia preparati e scrupolosi ma al tempo stesso persone di straordinaria umanità e di cuore. A tutti loro devo la mia vita e il mio grazie riconoscente per aver tentato davvero l’impossibile, fino all’ultimo caparbio tentativo, per salvare il mio bimbo che purtroppo, abbandonato l’ostinato quanto comprovato inutile accanimento terapeutico, non ce l’ha fatta». 

Il grazie accorato è di mamma Katiuscia - giovane moglie e già mamma di due bambine, residente a Monticello - al termine di settimane di calvario scaturite dalla sua terza gravidanza, subito inquadrata “a rischio”. Eppure quel percorso si è rivelato al tempo stesso un viaggio nella buona, «anzi ottima» sanità piemontese testata sulla propria pelle. Mentre la futura mamma, alla 29° settimana di gestazione, ai primi di gennaio si trovava in città con un’amica per gli ultimi acquisti in un negozio, un malore improvviso dovuto – poi si saprà – al distacco della placenta. La corsa in ambulanza in ospedale, al “Maggiore” di Novara; da lì subito in sala operatoria per far nascere il piccino, «nato praticamente morto ma subito rianimato in terapia intensiva e il fatto che pesasse già 1,5 kg lasciava ben sperare – spiega. – Ma ho rischiato di morire anch’io. Invece mi hanno salvata, ridando una moglie al proprio marito e una madre a due bimbe. E di questo sono molto grata a tutti». Critica, purtroppo, la situazione del neonato: «Dopo nove giorni dal parto cesareo, il piccolo ha accusato un’emorragia cerebrale – spiega la mamma – Il peggioramento ha costretto i medici di Novara alla richiesta di trasferimento all’ospedale “Sant’Anna” di Torino per un’operazione al “Regina Margherita”. Condotta da un neurochirurgo infantile dell’ospedale “Regina Margherita” di Torino, mio figlio sfortunatamente non ha reagito e dopo circa un mese senza alcun miglioramento o cenno di ripresa, non si è potuto fare altro che riportarlo in ospedale a Novara, dove comunque non sono mai mancate cure e attenzioni. Ho potuto vedere con i miei stessi occhi con quanta dedizione, professionalità, determinazione, tutti abbiamo tentato disperatamente di salvarlo. Sul piano medico, ma anche umano, è stato fatto davvero l’impossibile e questa è la mia unica grande consolazione. In tutte queste settimane in giro per ospedali, mai una pecca, mai un indugio, né un ritardo. Tanto affetto, comprensione, dedizione e diagnosi corrette e immediate. Ho conosciuto reparti all’avanguardia, staff medico-infermieristici fantastici e questo bisogna dirlo e ribadirlo: io non ho davvero parole e ho pensato di rivolgermi al giornale della città affinché mi facesse da cassa di risonanza. Ci sono medici, infermieri, ostetriche, oss straordinari che lavorano ogni giorno in silenzio con estrema dedizione, attenzione, e che non ci hanno mai lasciati soli, il mio bambino ed io. Intuendo ancor prima delle mie richieste quello di cui avevo bisogno, come nel caso della flebite che mi ha martoriato le braccia. Qui a Novara eravamo “i due miracoli” dell’ospedale. E tutti hanno iniziato a tifare per il mio piccino, a chiedermi sempre aggiornamenti, notizie, ad interessarsi con tanto cuore. A Torino stesso clima, stessa accoglienza e trattamento. Sono moltissime le persone che sento di dover ringraziare, una ad una», sottolinea commossa. 

Arianna Martelli

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