Il personaggio

"Il sogno? Divulgare il suono italiano"

Sara Airoldi è il Primo violoncello della Fondazione Arena di Verona

"Il sogno? Divulgare il suono italiano"
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«Non si sa se stia aprendo il petto per trarne un violino, o se stia aprendo il violino per mettervi il cuore». Così il vate Gabriele D’Annunzio scrive per sintetizzare l’immagine di Gasparo da Salò, liutaio inventore del violino. E in questo abbraccio simbiotico sembra di rivedere la musicista Sara Airoldi, novarese di nascita, veronese d’adozione, ma cosmopolita per vocazione. Primo violoncello della Fondazione Arena di Verona, la 49enne ha calcato le scene di quasi tutto il mondo.
Dopo un recente concerto al Faraggiana di Novara, il 12 dicembre 2022 sarà la volta del concerto che si terrà - grazie all’Associazione Amici della Musica di Galliate - alle 21 nella Sala Neogotica del Castello Sforzesco di Galliate dove, come I Solisti di Verona, si esibirà con Gunther Sanin (violino), Giampiero Sobrino (clarinetto) e Roberto Corlianò (pianoforte).

L'intervista

Come nasce la sua passione per la musica?
«Mio padre Giustino e mia madre Rosangela mi hanno sempre sostenuta e incoraggiata nell’affrontare il percorso artistico. In casa ho respirato la musica classica e la lirica sin da bambina. Mi hanno trasmesso questa grande passione che poi è diventata anche il mio lavoro».
Qual è stato il primo strumento a cui si è avvicinata?
«Ho iniziato con il pianoforte e quando sono andata al Conservatorio di Novara, che all’epoca era il distaccamento di Alessandria e si trovava in via Monte San Gabriele, sono stata dirottata verso il violoncello. Poi mi sono affacciata al mondo esterno per misurarmi con altre realtà e il mio grazie va ai maestri Susan Moses e Rocco Filippini che per me sono stati fonte di ispirazione e riferimenti sicuri.  Poi a 25 anni ho vinto il concorso per l’Arena di Verona e adesso sono Primo violoncello».

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Com’è il suo lavoro? Quali capacità occorre avere, oltre allo studio della musica, ovviamente...
«Il mio è un ruolo di capofila, ma richiede il saper stare in squadra e fare gruppo. Il suono della nostra fila deve essere coeso e unico, non devono esistere dei personalismi anche se ci sono dei momenti di assolo. Penso ai momenti in cui il violoncello interpreta e introduce gli stati d’animo nell’opera, come nell’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini  o il preludio di Masnadieri di Verdi o poco prima della famosa aria “E lucevan le stelle” nella Tosca di Puccini.  Siamo al servizio di un momento musicale e lo strumento ti sta attaccato al corpo, diventa un tutt’uno, si crea osmosi, c’è una fusione fra strumento e musicista, è un appendice. Me lo porto addosso da quando avevo 11 anni per cui è una parte di me, una parte che mi impone rigore, disciplina, postura, ma dà anche una formazione come individuo, e nutrimento all’anima, è un rapporto di comunicazione reciproca costante».

Una parte di sé, come un figlio. E da madre lo sa bene...
«C’è grande similitudine in effetti, è una parte di sé che è altro dal quale non ci si stacca mai definitivamente. Mio figlio Enrico oramai è grande, ha 16 anni ed è pronto per studiare all’estero. Parla tre lingue e pensa al suo futuro, ha fatto parte del coro delle Voci bianche dell’Arena di Verona, ha grande passione per la musica  però sogna un percorso differente».

Cos’è per lei la musica?
«La musica è un’arte astratta che si ricrea ogni volta e deve ricreare la concretezza attraverso il testo; deve restituire il bello, deve saper rendere persino i colori come in un dipinto e deve rendere al meglio tramite le sue varie articolazioni».

Primo violoncello e donna. Un binomio che ha fatto storcere il naso a qualcuno?
«In generale un minimo di pregiudizio c’è, personalmente però non mi è mai capitato di essere discriminata. Quando si mette in campo la professionalità difficilmente poi si può avere qualcosa da ridire».

Che consiglio si sente di dare a chi si avvicina al mondo della Musica?
«Chi si avvicina alla musica come prima cosa deve ascoltarla. Le altre arti hanno l’aspetto dell’osservazione concreta, la musica - che è un’arte astratta -  va invece ogni volta ricreata, vissuta, ascoltata come fosse la prima volta. Oggi le tecnologie ci permettono di confrontare esibizioni per cui possiamo vedere come vengano interpretate dai vari artisti. La prima lezione deve essere ascoltare lo strumento e avere l’idea chiara del suono che si andrà poi ad emettere in prima persona.

Lei ha suonato davanti a milioni di persone, dall’America alla Cina. Oggi qual è il suo sogno?
«Potermi dedicare all’insegnamento e alla divulgazione, creare una scuola “Made in Italy” dedicata agli archi  per insegnare a conoscere e comprendere il suono italiano. Vorrei poter tramandare alla nuova generazione il sapere che mi è stato dato e che ho personalizzato. Poi non nascondo che mi farebbe molto piacere riprendere contatto con la mia città per ridare alla mia Patria quello che ho assorbito dal mondo».

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