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La proposta: intitolare uno spazio di Novara a Enzo Tortora

La richiesta della Camera penale è stata Illustrata dalla senatrice Francesca Scopelliti, compagna del giornalista scomparso

La proposta: intitolare uno spazio di Novara a Enzo Tortora
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L’intitolazione di uno spazio pubblico a Enzo Tortora: questa la richiesta della Camera Penale di Novara illustrata martedì 9 aprile  2024 con in video collegamento la Senatrice Francesca Scopelliti, compagna del giornalista scomparso. Lo racconta il Corriere di Novara.

Intitolare uno spazio di Novara a Enzo Tortora

Nell’introdurre la proposta il presidente della Camera penale Alessandro Brustia ha ricordato come «Enzo Tortora è una figura di eroe civile che il nostro Paese non può scordare. Un uomo in grado di intraprendere sulla propria pelle una battaglia civile e politica dolorosa, ma necessaria».

La proposta è quella di intitolare una via, piazza, parco o galleria, come è già stato fatto in varie città d’Italia. Il rapporto tra il Novarese e la senatrice Scopelliti era nato nell’aprile 2017 quando al Piccolo Coccia, vi fu un dibattito dal titolo "Il processo mediatico a 34 anni dal caso Tortora", organizzato dalla Camera Penale di Novara.

Ospite degli avvocati novaresi fu, infatti, Francesca Scopelliti (presidente della Fondazione Internazionale per la Giustizia Enzo Tortora) e compagna del giornalista e presentatore scomparso. Nel corso del dibattito venne citato spesso il libro scritto dalla senatrice Scopelliti “Lettere a Francesca” che racconta il dramma giudiziario vissuto da Enzo Tortora.

Il caso Tortora

La vicenda, ricostruita martedì, ebbe inizio il 17 giugno 1983, quando l’ideatore di “Portobello”, trasmissione con il record di ascolti della Rai, sulla base di accuse formulate da persone legate alla Camorra tra cui alcuni “pentiti” fu arrestato e imputato di associazione camorristica e traffico di sostanze stupefacenti, reati ai quali in seguito risultò totalmente estraneo.

Per dovere di cronaca va ricordato che nel 1981 dopo u‘n’asta benefica ad Antenna 3 a favore dei terremotati dell’Irpinia, Tortora si recò ad Avellino con alcuni dirigenti del Partito Liberale per presentare un “libro bianco” contro la Camorra dal titolo “Dossier terremoto” che conteneva una serie di testimonianze contro le famiglie camorristiche che cercavano di inserirsi negli appalti e impossessarsi dei fondi stanziati dallo Stato per la ricostruzione, con nomi e cognomi e responsabilità.

Dopo 7 mesi di reclusione nel gennaio del 1984, fu liberato ma il 17 settembre 1985, al processo Tortora venne condannato a dieci anni di carcere. La sua innocenza fu dimostrata e riconosciuta il 15 settembre 1986, quando venne infine definitivamente assolto dalla Corte d'appello di Napoli. Nel giugno del 1984, Enzo Tortora fu eletto deputato al Parlamento europeo nelle liste del Partito Radicale, che ne sostenne le battaglie giudiziarie. Il 13 dicembre 1985 si dimise da europarlamentare e, rinunciando all'immunità parlamentare, restò agli arresti domiciliari.

Tortora tornò in televisione il 20 febbraio riprendendo “Portobello”. Il pubblico in studio lo accolse con un lungo applauso. Il presentatore iniziò con una frase diventata celebre: «Dunque, dove eravamo rimasti?». Il presentatore fu assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 13 giugno 1987, a quattro anni dal suo arresto. Enzo Tortora morì a 59 anni la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare.

La lettera

Questa la lettera della compagna di Tortora inviata al sindaco di Novara:

Gentile Sindaco Canelli,
la Camera Penale di Novara, tramite il suo presidente Alessandro Brustia, che ringrazio con tutto il cuore, ha avanzato richiesta a lei di intitolare uno spazio pubblico proprio a Enzo Tortora. Ma, prima di entrare nel merito, mi consenta una premessa. Enzo Tortora era un uomo semplice, perbene, sincero, che non ha mai mostrato atteggiamenti da divo nonostante fosse un uomo di grande cultura e avesse un grande seguito televisivo.
Quando faceva le selezioni per la trasmissione Portobello, primeggiava questo suo fare semplice, alla mano, con tutti gli aspiranti del mercatino. Gente semplice che si riconosceva nella schiettezza, nella spontaneità di Tortora. E come tutte le persone “autentiche” non amava le celebrazioni, le commemorazioni.
Non so qual è il suo ricordo di quel triste fattaccio della procura napoletana che coinvolse, suo malgrado, l'integerrimo Enzo Tortora. Ma spero mi dia fiducia se le dico, che quella inchiesta, quel maxiblitz violentò lo stato di diritto, che fu davvero uno scempio per la giustizia italiana, per il quale nessuno dei responsabili ne pagò le conseguenze. Conseguenze gravi perché dopo aver avuto il pieno riconoscimento della sua estraneità ai fatti contestati, Enzo è morto. Morto di malagiustizia. A causa di quella “bomba al cobalto” che gli era scoppiata dentro il 17 giugno 1983 al momento dell'arresto.
E - lo dico ad un politico, ad un amministratore - in uno stato democratico, in uno stato di diritto non si può morire per un errore, o meglio un crimine, giudiziario.
Sarà lei, signor Sindaco, a decidere quale risposta dare alla richiesta della Camera Penale della sua città, ma voglio ribadire che, qualora la sua decisione fosse favorevole lei non avrà celebrato Enzo Tortora, bensì la giustizia, la necessità della giustizia giusta, permettendo ai giovani, alle future generazioni novaresi, di ricordare una vittima della malagiustizia così come ricordiamo le vittime della criminalità organizzata o del terrorismo. Per dire ai giovani che la legalità deve trionfare in ogni ambito, ancor più in quello della Stato.
Cicerone diceva che “la vita dei morti è riposta nel ricordo dei vivi”. E questa segnalazione, questo avere uno spazio intitolato a quel nome significa dare testimonianza ai professionisti del domani di ciò che è accaduto ad una persona perbene, di ciò che non deve più accadere.
Primo Levi, che visse sulla sua pelle gli orrori dell'olocausto, diceva che “chi dimentica il passato è costretto a riviverlo”: io non auguro a nessuno di rivivere la drammatica esperienza di Primo Levi così come non auguro a nessuno di rivivere la tragica vicenda di Enzo Tortora. Ecco perché nel suo nome mi batto per una giustizia giusta, una sacrosanta riforma della giustizia dove il giudice è il simbolo della legalità e non il boia sulla ghigliottina.
Enzo Tortora fino alla fine della sua vita si è battuto per questa conquista di civiltà. Era un messaggero di quella sua esperienza, di quel caso Tortora che divenne, e lo è ancora, il Caso Italia.
A 36 anni dalla sua morte Enzo è diventato il “messaggio”, quel “simbolo” che dobbiamo fare nostro, per ricordare, commemorare e celebrare non il grande giornalista italiano bensì il messaggio che lui rappresenta. Affinché, come scrisse Leonardo Sciascia, il “suo sacrificio non sia un'illusione”. In tal senso, lei, caro sindaco Canelli, può dare alla sua città, un piccolo ma valido e concreto contributo.
Nell'esprimerle il mio ringraziamento per la considerazione che vorrà dare alla richiesta, abbia un cordiale saluto

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