Legambiente: nel Vco la popolazione esposta a rischio frane è del 15,5%, la più alta d’Italia
Al Governo chiediamo, oltre ad un serio impegno per la mitigazione dei cambiamenti climatici, di sviluppare adeguate strategie di adattamento su scala regionale e locale per ridurre il rischio in alta quota
"Rischi ridotti, montagne tutelate”. A questo grido Legambiente ha organizzato ieri, nei pressi del Ghiacciaio del Belvedere, in Piemonte, un flash mob in quota per sottolineare la crescente instabilità della montagna, in una delle aree a rischio frane più elevato d’Italia.
I dati del Piemonte
Infatti, in Piemonte, la percentuale di popolazione esposta al rischio frane si colloca appena sotto la media nazionale (2,2%) mentre nel Verbano- Cusio- Ossola la quota sale addirittura al 15,5%, la più alta del Paese (fonte Ispra). L’obiettivo del flash mob, che questa mattina ha radunato volontari, giovani attivisti ed esponenti del mondo scientifico, è tornare a chiedere al Governo Meloni, oltre ad un serio impegno per la mitigazione dei cambiamenti climatici, l’approvazione in tempi brevi del PNACC, e alle istituzioni locali e regionali di sviluppare adeguate strategie di adattamento su scala regionale e locale per ridurre il rischio in alta quota, con un nuovo approccio nell’uso del suolo, evitando di costruire dove non è necessario o farlo, ma con i debiti approfondimenti, in modo da limitare il più possibile la vulnerabilità delle opere realizzate.
“Le zone di montagna — dichiara Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente CIPRA Italia — da sempre sono fragili e caratterizzate dall’instabilità geomorfologica (instabilità glaciale, frane, colate detritiche); ma oggi i rischi a cui sono soggette sono più frequenti e maggiori a causa della crisi climatica e del conseguente incremento degli eventi estremi sempre più frequenti. Al Governo chiediamo, oltre ad un serio impegno per la mitigazione dei cambiamenti climatici, di sviluppare adeguate strategie di adattamento su scala regionale e locale per ridurre il rischio in alta quota. Ciò è possibile adottando un nuovo approccio nell’uso del suolo, evitando di costruire dove non è necessario o farlo, ma con i debiti approfondimenti, in modo da limitare il più possibile la vulnerabilità delle opere realizzate. Infatti, il rischio nasce quando le attività antropiche vanno ad interferire con le dinamiche naturali del territorio.
Dunque, l'espansione delle attività umana in regioni d’alta quota e la cementificazione a dir poco sfrenata che sempre più sta contaminando anche la montagna si traducono in un aumento del rischio, sia perché aumenta il “valore economico” esposto ai pericoli naturali, sia perché possono alterare le dinamiche dell’ambiente montano. Si pensi al recente caso della caserma dei carabinieri di Bardonecchia, colpita dalla piena del torrente poiché situata in prossimità di un’ansa del torrente Frejus modificata dall’uomo. Basta inseguire l’emergenza, questi eventi estremi possono rappresentare l’occasione per immaginare in modo nuovo e adatto ai tempi l’uso e l’occupazione del territorio".