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Studio dell'Università di Torino sul linfoma B del cane apre nuove possibilità di cura anche per l'uomo

Ricercatori di un team europeo coordinato dal Prof. Luca Aresu del Dipartimento di Scienze Veterinarie, hanno identificato per la prima volta le mutazioni genetiche presenti nel Linfoma a grandi cellule B (DLBCL) del cane.

Studio dell'Università di Torino sul linfoma B del cane apre nuove possibilità di cura anche per l'uomo
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Linfoma B del cane, studio di UniTo scopre nuove mutazioni genetiche e identifica nuovi target terapeutici aprendo a nuove possibilità di cura anche per l'uomo. Il linfoma a grandi cellule B è uno dei tumori più frequenti nel cane ed è considerato un buon modello per lo studio della stessa patologia nell’uomo. Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, Lab Animal.

Il linfoma B del cane

Ricercatori e ricercatrici di un team europeo coordinato dal Prof. Luca Aresu del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino, hanno identificato per la prima volta le mutazioni genetiche presenti nel Linfoma a grandi cellule B (DLBCL) del cane. Tale risultato rappresenta la prima descrizione del profilo genetico di questo tumore del cane.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista di Nature, Lab Animal (https://www.nature.com/articles/s41684-022-00998-x), in collaborazione con l’Università di Bologna (Prof.ssa Laura Marconato) e l’Institute of Oncology Research di Bellinzona (Prof. Francesco Bertoni) rappresenta un enorme passo avanti nella comprensione dei meccanismi patogenetici del DLBCL e identifica nuovi marker prognostici e terapeutici per il monitoraggio della malattia.

Il DLBCL infatti è uno dei tumori più frequenti nel cane, ma soprattutto da anni viene considerato anche come un buon modello per studiare la stessa patologia nell’uomo. Proprio in questo senso i risultati ottenuti dal team di ricerca potrebbero portare a vantaggi che riguardano sia il cane sia l’uomo.

Purtroppo, nonostante i grossi passi avanti nelle terapie del cane, tra cui la possibilità di usare un vaccino autologo in associazione al protocollo chemioterapico standard, il DLBCL rimane ancora troppo spesso non curabile. La malattia umana e quella canina sono molto simili e infatti diverse molecole, approvate da agenzie regolatorie per il trattamento dei linfomi umani, sono state provate prima in cani affetti da linfomi, dando ottimi risultati ma, fino ad oggi, mancava una analisi più approfondita dei meccanismi patogenetici alla base dello sviluppo del DLBCL del cane e un confronto con la controparte umana.

Lo studio

Da anni il Prof. Aresu dirige il “Canine Comparative Oncology Lab” al Dipartimento di Scienze Veterinarie conducendo studi nel campo della genetica, trascrittomica ed epigenetica dei tumori più frequenti e aggressivi nel cane. La ricerca si focalizza, in particolare, su caratteristiche istologiche, fenotipiche, molecolari e genetiche che sono alla base della predisposizione tumorale e patogenesi delle principali neoplasie del cane. Inoltre, i bersagli molecolari delle neoplasie più frequenti ed aggressive sono studiati per ricercare terapie target.

Nel suo studio il gruppo di ricerca ha applicato tecniche di Next Generation Sequencing per studiare la parte codificante del DNA dei cani con tumore. Tale approccio è alquanto nuovo in medicina veterinaria ed ha permesso di evidenziare come esistano delle similitudini con il DLBCL umano, tra cui alcuni pathway di attivazione di NFκ-B e B-cell receptor e del rimodellamento della cromatina. Ma sono state messe in evidenza anche delle differenze, tra cui le mutazioni più frequenti che caratterizzano questo tumore. Infatti, i geni più frequentemente mutati nel cane (TRAF3, SETD2, POT1, TP53, FBXW7) sono alterati meno frequentemente nel DLBCL umano, come evidenziato in diversi studi degli ultimi anni in medicina umana.

Attraverso la stretta collaborazione di ricercatori di fama internazionale nel campo della patologia comparata, del sequenziamento, dell’oncologia veterinaria e della medicina umana è stato possibile associare alcune mutazioni a caratteristiche biologiche e andamenti clinici diversi. Nello specifico le mutazioni del gene TP53 sono state associate ad una prognosi peggiore indipendentemente dal trattamento. Il gene TP53 viene definito “il guardiano del genoma” proprio per la sua funzione di identificare danni al DNA e successivamente impedire che i difetti vengano trasmessi nel processo di replicazione. Nel DLBCL del cane, le mutazioni del TP53 hanno un effetto deleterio tale da impedire la sua funzione protettiva e potenzialmente portare allo sviluppo di un tumore. Nello studio, tutti i cani erano stati trattati e seguiti dalla Prof.ssa Marconato.

Proprio la disponibilità dei dati clinici e di follow-up ha permesso lo sviluppo di un modello predittivo da parte del Prof. Piero Fariselli del Dipartimento di Scienze Mediche di UniTo che è oggi disponibile online (https://compbiomed.hpc4ai.unito.it/canine-dlbcl/). Tale modello permetterà in futuro a veterinari e proprietari di cani con DLBCL di indirizzare la scelta terapeutica e potenzialmente avere una predizione sulla prognosi. A partire dall’autunno, infatti, lo screening genetico del TP53 sarà disponibile a livello diagnostico e rappresenterà il primo test genetico disponibili in oncologia veterinaria in grado di predire prognosi e guidare la terapia.

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