Alla sbarra per gestione di case di prostituzione e sfruttamento in tre

Alla sbarra per gestione di case di prostituzione e sfruttamento in tre
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NOVARA - In tre alla sbarra con le accuse, a vario titolo, di gestione e amministrazione di case di prostituzione, sfruttamento e favoreggiamento nell’ingresso di clandestini in Italia. Si tratta di padre e figlia, Giuseppe e Patrizia Morrone, e della madre Rosella Del Carro.

Stando all’accusa, nell’ultima udienza era presente il pm Nicola Serianni, due appartamenti, uno a Borgo Ticino, nella zona di via Sempione, e uno a Gallarate, nel Varesotto, erano alloggi a luci rosse, che avevano una conduzione famigliare. Appartamenti cui si arrivava, sempre stando all’accusa, con annunci sui giornali. Le indagini erano state a cura dei Carabinieri della Stazione di Borgo Ticino e della Digos di Varese.

Non così per gli imputati, che, con i loro avvocati, rigettano le accuse, sostenendo di non aver mai saputo alcunché di una presenza di prostitute nelle due abitazioni. Qualche udienza fa, in Tribunale a Novara, anche la testimonianza di una delle giovani presunte sfruttate, una donna rumena. «Mi avevano promesso di fare la parrucchiera e così ero venuta in Italia. Mi portarono, invece, in una casa a Borgo Ticino, da dove non potevo uscire e dovevo ricevere sino a cinque uomini al giorno». L’imputato, in aula, ha negato: «ho portato quella giovane in Italia, dandole solo un passaggio con la mia nuova compagna. Doveva fare da baby sitter al bimbo di mia figlia. Me l’aveva detto il suo compagno».

Prossima udienza il 18 dicembre.

mo.c.


NOVARA - In tre alla sbarra con le accuse, a vario titolo, di gestione e amministrazione di case di prostituzione, sfruttamento e favoreggiamento nell’ingresso di clandestini in Italia. Si tratta di padre e figlia, Giuseppe e Patrizia Morrone, e della madre Rosella Del Carro.

Stando all’accusa, nell’ultima udienza era presente il pm Nicola Serianni, due appartamenti, uno a Borgo Ticino, nella zona di via Sempione, e uno a Gallarate, nel Varesotto, erano alloggi a luci rosse, che avevano una conduzione famigliare. Appartamenti cui si arrivava, sempre stando all’accusa, con annunci sui giornali. Le indagini erano state a cura dei Carabinieri della Stazione di Borgo Ticino e della Digos di Varese.

Non così per gli imputati, che, con i loro avvocati, rigettano le accuse, sostenendo di non aver mai saputo alcunché di una presenza di prostitute nelle due abitazioni. Qualche udienza fa, in Tribunale a Novara, anche la testimonianza di una delle giovani presunte sfruttate, una donna rumena. «Mi avevano promesso di fare la parrucchiera e così ero venuta in Italia. Mi portarono, invece, in una casa a Borgo Ticino, da dove non potevo uscire e dovevo ricevere sino a cinque uomini al giorno». L’imputato, in aula, ha negato: «ho portato quella giovane in Italia, dandole solo un passaggio con la mia nuova compagna. Doveva fare da baby sitter al bimbo di mia figlia. Me l’aveva detto il suo compagno».

Prossima udienza il 18 dicembre.

mo.c.


 

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