Diritti umani

Mamre Borgomanero ha aderito a "RiVolti ai Balcani": la battaglia per i diritti umani

L'associazione agognina ha partecipato alla conferenza fondativa.

Mamre Borgomanero ha aderito a "RiVolti ai Balcani": la battaglia per i diritti umani
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Continua la battaglia per i diritti umani dei migranti: Mamre Borgomanero ha aderito a "RiVolti ai Balcani".

"RiVolti ai Balcani": Mamre Borgomanero appoggia la battaglia per i diritti umani

E’ nata una rete, nella società civile nazionale, che si pone l’obiettivo di mettere la parola fine alle violazioni dei diritti umani che subiscono le persone migranti, e in special modo quelle che vengono perpetrare lungo la rotta balcanica, il tragitto che dal Medio Oriente via terra, viene percorso da chi fugge da guerre e miseria per raggiungere l’Europa, dalla Turchia verso Trieste. Sabato 26 giugno, a Milano è stata presentata la rete informale “RiVolti ai Balcani”. Con il direttore di Altreconomia, Duccio Facchini, si sono alternate alcune delle voci della società civile che hanno dato vita - lavorando già da mesi - a un gruppo di lavoro e di iniziative che «si uniscono per avere un impatto maggiore», come ha spiegato Agostino Zanotti, direttore di ADL a Zavidovici, una realtà che da decenni lavora nei Balcani. «Un gruppo di lavoro per farla finita con questa violenza, un gruppo che lavorerà per mettere in luce quel che accade, illuminare quei corpi che sono gli oggetti della brutalità della rotta. Dobbiamo curare i corpi, dobbiamo farla finita con un sistema brutale che difende uno stile di vita sulla pelle di queste persone».
I dati sono chiari: al di là del Mediterraneo, la rotta balcanica, che dalla Turchia a Trieste attraversa l’Europa Orientale, dal 2015 a oggi è uno dei principali percorsi per rifugiati, migranti, richiedenti asilo. È un’umanità in fuga. In maggioranza provenienti da Iraq, Afghanistan, Siria, ma non solo.
C’è una aspetto feroce nella camminata infinita, giorni interi, che queste persone si auto-infliggono, fuggendo da un altrove che è comunque peggiore. «Non ho scelto di essere un profugo», ha detto Nabil, uno dei 14 milioni di profughi siriani (su 23 milioni di abitanti). Come lui tanti altri, ma non è una politica concentrazionaria e violenta la soluzione. Oggi, dalla Grecia a Trieste, sono 70 i campi di detenzione lungo la rotta, sempre meno legati all’accoglienza, sempre più legati al contenimento.
Si sono alternati, nella presentazione del progetto, le molte anime che compongono il gruppo di 36 realtà. Gianfranco Schiavone, vice-presidente di ASGI; Silvia Maraone, coordinatrice interventi IPSIA ACLI in Bosnia Erzegovina; Diego Saccora, Lungo la rotta balcanica - Along the Balkan Route; Paolo Pignocchi, Amnesty International – Italia; Anna Brambilla, avvocato del Foro di Milano, socia ASGI; e Corrado Conti, dell’associazione Mir Sada.
«Gli obiettivi - spiegano da Mamre - sono molti, di eguale importanza. La denuncia, come hanno sottolineato i relatori, di quanto accade a livello di violazioni dei diritti umani lungo la rotta. Da quello che è accaduto al confine tra Grecia e Turchia (dove ci sono 4 milioni di rifugiati, in un clima sempre più ostile) a fine febbraio fino alle violenze delle polizia croata, dove per la prima volta - anche grazie alle pressioni internazionali - due agenti di polizia a Karlovac dovranno rendere conto degli abusi su un gruppo di afgani, fino a quel che sta accadendo in Italia. Secondo molte denunce, gli agenti italiani riconsegnano alla polizia slovena - in virtù di un vecchio accordo bilaterale del 1996 - migranti dopo averli identificati, ma senza che abbiano avuto accesso all’iter dovuto prima di essere respinti. La Slovenia, a sua volta, li riconsegna alla Croazia, che li deporta in Bosnia-Erzegovina dove la situazione è sempre più complessa, con oltre 9mila profughi, come ha raccontato Maraone».
«Se si vuole contrastare davvero il traffico di esseri umani, bisogna agire in modo sistemico. Al momento costa 600 euro un viaggio a piedi massacrante, fino a 4500 euro in taxi, ha raccontato Maraone». La denuncia di violenze, morti senza nome, stato di detenzione senza futuro di migliaia di persone, è un obiettivo di “RiVolti ai Balcani”, ma non solo. Anche informare, dare un volto e un nome a queste persone.
«Noi - così i volontari Mamre - parteciperemo con una mappa della rotta, che permetterà di monitorare costantemente quel che accade con una rassegna stampa condivisa con tutte le realtà lungo il cammino. E a questo si affiancherà il lavoro di solidarietà, come quello che svolge da anni Linea d’Ombra a Trieste, che procura scarpe e cura piedi. Accanto ad altre realtà che si occupano di dare una mano, un sorriso, un aiuto ai migranti. Infine il livello di pressione politica: bisogna risolvere la questione. C’è un intervento sistemico, ci sono misure urgenti da prendere che non possono che essere politiche. Un seminario pubblico a Trieste, a fine ottobre, produrrà dei tavoli di lavoro e un documento per il Parlamento Europeo, la Commissione Ue e tutti i governi nazionali coinvolti. Q Code nasce anche perché crediamo in un giornalismo civile, che riesce con il suo lavoro a documentare i guasti che i decisori politici – tutti - devono sistemare. Raccontare, denunciare, aiutare: per cambiare le cose».
La pagina Facebook della rete dove seguire le iniziative: https://www.facebook.com/RiVoltiAiBalcani/.

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