Processo Di Giovanni: per i difensori: “nessuna prova dei reati contestati”

Processo Di Giovanni: per i difensori: “nessuna prova dei reati contestati”
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NOVARA, Udienza interamente dedicata alle difese, così come sarà quella del 27 aprile, giovedì mattina, in Tribunale a Novara, al processo relativo all’operazione “Bloodsucker” (sanguisuga in lingua inglese). Un’indagine che – nel 2014 – aveva permesso di sgominare un presunto giro di usura, che partiva da soggetti residenti nel Novarese, ma che si sviluppava poi in molte altre regioni d’Italia. C’erano state vittime in Piemonte, Lazio, Veneto e Lombardia. Alla sbarra ci sono sette persone. Alla penultima udienza il pm Ciro Caramore aveva chiesto pene che vanno dai due anni e sette mesi ai 7 anni e mezzo di reclusione.A intervenire, tra i difensori, gli avvocati Alessandro Brustia, Alessandro Tambè e Barbara Grazioli. «E’ giunto il momento - ha sostenuto Tambè – di far uscire il vero. E’ l’ora di dissolvere tutto questo, che è servito solo a coprire una totale mancanza di prove. In tutto il processo si è voluto creare e mostrare un ambiente mafioso che non esiste in alcun modo». Alla sbarra, il 42enne Ignazio Di Giovanni, il 33enne Ignazio Di Giovanni, figlio di ‘Pino’ (personaggio chiave dell’inchiesta, già condannato lo scorso anno a 10 anni e 3 mesi); Angelo Migliavacca, Francesco Pirrello e Pierluigi Baglivi. Con loro a processo, per un verbale modificato e accusati quindi solo di falso, anche due carabinieri, il maresciallo Domenico Geraci, già comandante della Stazione Carabinieri di Fara Novarese, e il collega Pasquale Caiazzo. Per le difese non esiste alcuna prova, non c’è nulla contro i loro assistiti, inoltre le vittime non sarebbero, sempre per le difese, «credibili».Mo.c.
Per saperne di più leggi il Corriere di Novara in edicola sabato 22 aprile

NOVARA, Udienza interamente dedicata alle difese, così come sarà quella del 27 aprile, giovedì mattina, in Tribunale a Novara, al processo relativo all’operazione “Bloodsucker” (sanguisuga in lingua inglese). Un’indagine che – nel 2014 – aveva permesso di sgominare un presunto giro di usura, che partiva da soggetti residenti nel Novarese, ma che si sviluppava poi in molte altre regioni d’Italia. C’erano state vittime in Piemonte, Lazio, Veneto e Lombardia. Alla sbarra ci sono sette persone. Alla penultima udienza il pm Ciro Caramore aveva chiesto pene che vanno dai due anni e sette mesi ai 7 anni e mezzo di reclusione.A intervenire, tra i difensori, gli avvocati Alessandro Brustia, Alessandro Tambè e Barbara Grazioli. «E’ giunto il momento - ha sostenuto Tambè – di far uscire il vero. E’ l’ora di dissolvere tutto questo, che è servito solo a coprire una totale mancanza di prove. In tutto il processo si è voluto creare e mostrare un ambiente mafioso che non esiste in alcun modo». Alla sbarra, il 42enne Ignazio Di Giovanni, il 33enne Ignazio Di Giovanni, figlio di ‘Pino’ (personaggio chiave dell’inchiesta, già condannato lo scorso anno a 10 anni e 3 mesi); Angelo Migliavacca, Francesco Pirrello e Pierluigi Baglivi. Con loro a processo, per un verbale modificato e accusati quindi solo di falso, anche due carabinieri, il maresciallo Domenico Geraci, già comandante della Stazione Carabinieri di Fara Novarese, e il collega Pasquale Caiazzo. Per le difese non esiste alcuna prova, non c’è nulla contro i loro assistiti, inoltre le vittime non sarebbero, sempre per le difese, «credibili».Mo.c.
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