Prostituzione: carabinieri sequestrano 9 immobili a tre italiani

Prostituzione: carabinieri sequestrano 9 immobili a tre italiani
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NOVARA, I carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia di Novara hanno sequestrato 9 appartamenti riconducibili a tre persone (R.P. classe 1956, L.P. classe 1990 e A.P. classe 1984, padre e due figli residenti a Magenta), indagate nell’ambito di un procedimento penale, avviato nel 2016 dalla Procura di Novara (pm Mario Andrigo), per l’ipotesi di concorso nello sfruttamento e nel favoreggiamento della prostituzione.Tale provvedimento (in esecuzione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip Angela Maria Nutini su richiesta del pubblico ministero) segue quello che gli stessi militari avevano eseguito nel novembre del 2016 su di un appartamento (ubicato in via Concia a Novara) che, come evidenziato dalle indagini svolte dagli stessi militari, era stato adibito all’attività di prostituzione venendo affittato dai proprietari ad un prezzo superiore rispetto al “normale” canone di affitto.Tale sequestro (che veniva convalidato anche a seguito di impugnazione dinanzi al tribunale collegiale), risultava importante anche per il successivo sviluppo delle indagini che facevano concentrare l’attenzione inquirente sull’esistenza di gravi indizi di reato in ordine all’ipotesi di sfruttamento della prostituzione, in capo ai suddetti tre indagati, rispetto alla destinazione di ulteriori unità abitative di cui (tramite società) erano proprietari. Dallo sviluppo delle investigazioni, che sono proseguite per diversi mesi, a cavallo tra novembre 2016 e marzo 2017, emergeva che i tre indagati fossero pienamente a conoscenza del fatto che le unità abitative (poi sequestrate) fossero destinate all’esercizio del meretricio e che gli stessi utilizzassero le società “proprietarie” degli immobili a essi riconducibili come mero “schermo”, in quanto gestite anche per fini ulteriori e, in particolare, per il fine illecito di sfruttare l’attività di prostituzione svolta dai conduttori (appositamente individuati dalla parte locatrice proprio in ragione della “professione” svolta) al fine di poter applicare canoni di locazione “fuori mercato”, addossare ai conduttori anche le spese condominiali di competenza della parte locatrice e, di conseguenza, trarre illecito profitto dalla gestione (quanto meno) di parte del patrimonio immobiliare formalmente intestato alle predette società di capitali.La fase iniziale delle indagini permetteva - sin da subito - di accertare che le due società “schermo”, nel periodo 2012-2016 avevano stipulato numerosi contratti di locazione con diversi soggetti, prevalentemente di sesso femminile che, dai conseguenti sviluppi info-investigativi, risultavano svolgere o aver svolto l’attività di prostituzione. I successivi accertamenti si dipanavano attraverso: - l’escussione di persone informate sui fatti (gli stessi conduttori degli immobili) che riferivano in merito alla piena consapevolezza degli indagati del tipo di attività che si svolgeva nelle case ed alle loro finalità illecite; - l’effettuazione di intercettazioni telefoniche che fornivano utili elementi di riscontro all’ipotesi investigativa; - il raffronto tra l’importo dei canoni applicati con quelli di mercato (individuati mediante la consultazione delle federazioni di categoria) che facevano emergere differenze di prezzo con “punte” di guadagno illecito anche superiori ai 1.000 euro per un ipotesi di complessivo illecito pari a poco meno di 47.000 euro annui; - la raccolta di tutti gli elementi probatori che convergevano unitariamente verso la dimostrazione dell’illecita condotta degli indagati facendo emergere l’avvenuta locazione degli immobili a prostitute e transessuali allo scopo di conseguire il pagamento certo del canone (volutamente maggiorato rispetto al prezzo di mercato, spesso pagato in nero ed in contanti). All’esito delle indagini dei carabinieri il pubblico ministero formulava richiesta di sequestro preventivo al Gip, stante l’evidente nesso di strumentalità tra gli immobili e lo sfruttamento della prostituzione. Tale richiesta, sulla base di elementi gravi precisi e concordanti veniva accolta dal gip che disponeva il sequestro degli immobili/nuda proprietà atteso che, detti immobili erano utilizzati per l’esercizio di attività di prostituzione anche documentata attraverso pubblicazioni online di esplicito ed inequivocabile contenuto. Due dei nove appartamenti sequestrati erano di proprietà di soggetti diversi da quelli sottoposti ad indagine. Detti proprietari risultavano consapevoli delle attività che si svolgevano presso i loro appartamenti, dei quali percepivano il canone concordato che gli veniva “girato” da uno degli indagati che tratteneva per sé la “provvigione”. Uno di tali due appartamenti risultava di proprietà della madre di due degli indagati: in ogni caso è stato ritenuto dall’Autorità giudiziaria il nesso di strumentalità tra l’immobile ed il reato. sono in corso ulteriori indagini e accertamenti.mo.c.

NOVARA, I carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia di Novara hanno sequestrato 9 appartamenti riconducibili a tre persone (R.P. classe 1956, L.P. classe 1990 e A.P. classe 1984, padre e due figli residenti a Magenta), indagate nell’ambito di un procedimento penale, avviato nel 2016 dalla Procura di Novara (pm Mario Andrigo), per l’ipotesi di concorso nello sfruttamento e nel favoreggiamento della prostituzione.Tale provvedimento (in esecuzione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip Angela Maria Nutini su richiesta del pubblico ministero) segue quello che gli stessi militari avevano eseguito nel novembre del 2016 su di un appartamento (ubicato in via Concia a Novara) che, come evidenziato dalle indagini svolte dagli stessi militari, era stato adibito all’attività di prostituzione venendo affittato dai proprietari ad un prezzo superiore rispetto al “normale” canone di affitto.Tale sequestro (che veniva convalidato anche a seguito di impugnazione dinanzi al tribunale collegiale), risultava importante anche per il successivo sviluppo delle indagini che facevano concentrare l’attenzione inquirente sull’esistenza di gravi indizi di reato in ordine all’ipotesi di sfruttamento della prostituzione, in capo ai suddetti tre indagati, rispetto alla destinazione di ulteriori unità abitative di cui (tramite società) erano proprietari. Dallo sviluppo delle investigazioni, che sono proseguite per diversi mesi, a cavallo tra novembre 2016 e marzo 2017, emergeva che i tre indagati fossero pienamente a conoscenza del fatto che le unità abitative (poi sequestrate) fossero destinate all’esercizio del meretricio e che gli stessi utilizzassero le società “proprietarie” degli immobili a essi riconducibili come mero “schermo”, in quanto gestite anche per fini ulteriori e, in particolare, per il fine illecito di sfruttare l’attività di prostituzione svolta dai conduttori (appositamente individuati dalla parte locatrice proprio in ragione della “professione” svolta) al fine di poter applicare canoni di locazione “fuori mercato”, addossare ai conduttori anche le spese condominiali di competenza della parte locatrice e, di conseguenza, trarre illecito profitto dalla gestione (quanto meno) di parte del patrimonio immobiliare formalmente intestato alle predette società di capitali.La fase iniziale delle indagini permetteva - sin da subito - di accertare che le due società “schermo”, nel periodo 2012-2016 avevano stipulato numerosi contratti di locazione con diversi soggetti, prevalentemente di sesso femminile che, dai conseguenti sviluppi info-investigativi, risultavano svolgere o aver svolto l’attività di prostituzione. I successivi accertamenti si dipanavano attraverso: - l’escussione di persone informate sui fatti (gli stessi conduttori degli immobili) che riferivano in merito alla piena consapevolezza degli indagati del tipo di attività che si svolgeva nelle case ed alle loro finalità illecite; - l’effettuazione di intercettazioni telefoniche che fornivano utili elementi di riscontro all’ipotesi investigativa; - il raffronto tra l’importo dei canoni applicati con quelli di mercato (individuati mediante la consultazione delle federazioni di categoria) che facevano emergere differenze di prezzo con “punte” di guadagno illecito anche superiori ai 1.000 euro per un ipotesi di complessivo illecito pari a poco meno di 47.000 euro annui; - la raccolta di tutti gli elementi probatori che convergevano unitariamente verso la dimostrazione dell’illecita condotta degli indagati facendo emergere l’avvenuta locazione degli immobili a prostitute e transessuali allo scopo di conseguire il pagamento certo del canone (volutamente maggiorato rispetto al prezzo di mercato, spesso pagato in nero ed in contanti). All’esito delle indagini dei carabinieri il pubblico ministero formulava richiesta di sequestro preventivo al Gip, stante l’evidente nesso di strumentalità tra gli immobili e lo sfruttamento della prostituzione. Tale richiesta, sulla base di elementi gravi precisi e concordanti veniva accolta dal gip che disponeva il sequestro degli immobili/nuda proprietà atteso che, detti immobili erano utilizzati per l’esercizio di attività di prostituzione anche documentata attraverso pubblicazioni online di esplicito ed inequivocabile contenuto. Due dei nove appartamenti sequestrati erano di proprietà di soggetti diversi da quelli sottoposti ad indagine. Detti proprietari risultavano consapevoli delle attività che si svolgevano presso i loro appartamenti, dei quali percepivano il canone concordato che gli veniva “girato” da uno degli indagati che tratteneva per sé la “provvigione”. Uno di tali due appartamenti risultava di proprietà della madre di due degli indagati: in ogni caso è stato ritenuto dall’Autorità giudiziaria il nesso di strumentalità tra l’immobile ed il reato. sono in corso ulteriori indagini e accertamenti.mo.c.

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