Segregata e lasciata morire: l'imputato novarese chiede l'abbreviato
Era l'estate del '75
Sequestro e omicidio Mazzotti: il novarese Latella chiederà l’abbreviato.
L'udienza
E’ proseguita a Milano, mercoledì 21 giugno davanti alla gup Angela Minerva, l’udienza preliminare seguita alla terza e ultima inchiesta della procura per decidere le sorti delle quattro persone rinviate a giudizio nell’inverno dello scorso anno perché avrebbero preso parte al rapimento e omicidio della studentessa 18enne Cristina Mazzotti, avvenuto nell’estate del ’75 per mano di un commando dell’Anonima sequestri. Sono il 68enne residente nel novarese Demetrio Latella, il boss della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, 78 anni, residente nel Varesotto, e Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, pure loro, secondo gli inquirenti, vicini alla ‘ndrangheta.
Secondo l’accusa Latella, Morabito, Calabrò e Talia – in concorso con altri 13 già condannati in passato – avrebbero “preso parte attiva e portato a compimento la fase esecutiva del sequestro”. Esecutori e ideatori, insomma. Morabito e Latella hanno preannunciato attraverso i rispettivi legali, l’avvocato Maurizio Antoniazzi per il novarese, che chiederanno di essere giudicati con rito abbreviato (sconto di pena, dunque, in caso di condanna).
Gli altri imputati
Non dovrebbero, invece, chiedere riti alternativi gli altri due. Nella prossima udienza del 12 luglio, il gup deciderà se acquisire la sentenza del 2000 dello storico processo “Nord-Sud” per fare entrare negli atti la ricostruzione della “struttura“ della ‘ndrangheta. Mentre agli atti sono stati acquisiti anche i verbali con le dichiarazioni del boss Angelo Epaminonda, da cui ripartì l’indagine. In più, saranno acquisiti su supporti informatici gli audio delle dichiarazioni del ‘97 di Latella. La discussione delle parti davanti al gup sarà, poi, a settembre.
Il fratello e la sorella di Cristina Mazzotti sono parti civili col legale Fabio Repici. A riaprire l’indagine ter, e poi a chiuderla a novembre 2022 con le richieste di rinvio a giudizio, 48 anni dopo i fatti, era stata la procura di Milano: pm della Dda Stefano Civardi, con la collaborazione della Squadra Mobile. Mazzotti era stata rapita la sera del 1° luglio 1975 fuori dalla sua villa nel Comasco. Quella sera era uscita col fidanzato e gli amici a festeggiare la fine della scuola. Stavano percorrendo la strada che porta a Longone al Segrino e si trovavano nel comune di Eupilio quando la Mini Minor su cui viaggiavano era stata affiancata da una Fiat 125. Dall’auto era sceso solo un uomo armato. La diciottenne, forse per non mettere in pericolo gli amici, aveva cercato di opporsi, ma alla fine aveva ceduto. Al padre, un industriale nel settore dei cereali, era stato chiesto un riscatto di 5 miliardi di lire e dopo un mese l’uomo era riuscito a mettere insieme poco più di 1 miliardo, che aveva pagato ai sequestratori.
Chiusa in una buca
Mazzotti era stata segregata in una buca all’interno di un’abitazione di Castelletto Ticino, con poca aria e scarsa possibilità di muoversi e sembra le fossero state somministrate “massicce dosi di tranquillanti e di eccitanti”. Un mix che era stata la causa della sua morte, pare avvenuta tra il 31 luglio e il 1° agosto di quell’anno. Il 1 settembre del ‘75 una telefonata anonima giunta ai carabinieri aveva suggerito di scavare in una discarica di Galliate e lì, tra i rifiuti ammassati, era stato ritrovato il corpo senza vita. C’è stato, va ricordato, un primo processo a Novara che si è chiuso con 13 condanne, di cui 8 ergastoli, a carico dei cosiddetti fiancheggiatori, ma non degli esecutori materiali.