Stentardo “racconta” il delitto ai pm
NOVARA - E’ stato un interrogatorio fiume, quello di ieri nel carcere di Novara, con Salvatore Stentardo, affiancato dall’avvocato Gianni Croce, per diverse ore davanti al pm Giovanni Caspani che gli chiedeva dettagli sull’omicidio di Maria Rosa Milani, avvenuto nel pomeriggio dello scorso 13 settembre alla Cascina Calossa, nella vallata del Ticino di Oleggio, frazione Loreto. Stentardo era stato arrestato dai Carabinieri esattamente 3 mesi dopo, all’alba del 13 dicembre, in un appartamento alla periferia di Bologna, e fin da subito aveva sostanzialmente ammesso i fatti. Ovvero di essere stato sorpreso dall’anziana proprietaria mentre cercava rifugio alla “Calossa”, di aver perso la testa, anche in preda alla cocaina, e di averla ripetutamente colpita «col primo arnese capitato sotto mano», presumibilmente un bastone o il manico di un attrezzo agricolo. Stentardo era reduce da un «vagabondaggio» di un paio di giorni, visto che il giovedì precedente non aveva fatto rientro nel carcere di Novara, dove doveva scontare ancora 6 anni per vicende di droga, pur beneficiando del permesso di uscire. Ma per lavorare.
NOVARA - E’ stato un interrogatorio fiume, quello di ieri nel carcere di Novara, con Salvatore Stentardo, affiancato dall’avvocato Gianni Croce, per diverse ore davanti al pm Giovanni Caspani che gli chiedeva dettagli sull’omicidio di Maria Rosa Milani, avvenuto nel pomeriggio dello scorso 13 settembre alla Cascina Calossa, nella vallata del Ticino di Oleggio, frazione Loreto. Stentardo era stato arrestato dai Carabinieri esattamente 3 mesi dopo, all’alba del 13 dicembre, in un appartamento alla periferia di Bologna, e fin da subito aveva sostanzialmente ammesso i fatti. Ovvero di essere stato sorpreso dall’anziana proprietaria mentre cercava rifugio alla “Calossa”, di aver perso la testa, anche in preda alla cocaina, e di averla ripetutamente colpita «col primo arnese capitato sotto mano», presumibilmente un bastone o il manico di un attrezzo agricolo. Stentardo era reduce da un «vagabondaggio» di un paio di giorni, visto che il giovedì precedente non aveva fatto rientro nel carcere di Novara, dove doveva scontare ancora 6 anni per vicende di droga, pur beneficiando del permesso di uscire. Ma per lavorare.
Paolo Viviani
Leggi l’articolo integrale sul Corriere di Novara di giovedì 5 febbraio 2015