Incontro

Alessandro Vanoli ospite al Circolo dei lettori di Novara

«La storia non “si fa” per cambiare la testa delle persone, ma per poter spostare un po’ più in là la lancetta della speranza»

Alessandro Vanoli ospite al Circolo dei lettori di Novara
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Da piccolo voleva diventare esploratore, poi è diventato uno storico. E forse è un po’ lo stesso sogno realizzato. Alessandro Vanoli presenta «Non mi ricordo le date!: La linea del tempo e il senso della storia» al Circolo dei lettori, oggi, martedì 24 ottobre, alle 18.

Lo ha intervistato su NovaraOggi Erica Bertinotti

Un testo che racconta la storia e come questa viene studiata con un approccio accattivante, con un ragionamento che sposta lo sguardo abituale verso un più ampio orizzonte. Perché è la vastità del mondo a chiederlo. Sfatare miti, eliminare pregiudizi e viaggiare nel tempo e nello spazio con i giusti strumenti.

Come è nato questo libro?

«Un mio amico, Paolo Di Paolo, curatore della collana Treccani Tessere mi ha chiesto di occuparmi di un argomento che mi interessa molto e di cui a lungo abbiamo parlato in questi anni. La collana parte dell’idea di ragionare su ciò che è rimasto dei saperi imparati a scuola e io mi sono quindi occupato di storia. Cosa ce ne facciamo della storia? Come ci fa vedere il mondo? E di quale storia stiamo parlando? Serve ancora? Volevano che scrivessi come quando mi diverto a scrivere! Può sembrare un paradosso vista la casa editrice, ma questa collana, già dal firmato, fa capire come non sia enciclopedica».

Serve dunque ancora la storia?

«Quando mi sveglio triste, la risposta è no... E’ comunque una risposta difficile da dare: abbiamo un bisogno fisiologico di darci coordinate sul tempo e la storia ha la capacità di fornirle metodologicamente fondate, così da avvicinarsi il più possibile alla verità, con appigli su ciò che possa essere la verità del passato. Costruire sulle radici e sui fatti una ricerca di senso. In realtà, il fatto che serva o meno non è poi così rilevante: occorre chiedersi in che termini serve».

Vuole spiegare quest’ultima affermazione?

«Serve perché dovrebbe educarci alla partecipazione. Darci quel tanto di coordinate che cui permettono di capire ed essere cittadini responsabili. Darci strumenti per esercitare il dubbio, con senso critico rivolto al passato e i fondamenti su cui poggiare il nostro ruolo nella società. Questo spiega perché la storia, come studiamo, sia restia alle trasformazioni: poggia sui basamenti della nostra società. La storia e la linea del tempo come la conosciamo è nata ed è servita a formare i cittadini e la nostra identità di italiani. Serve quindi a patto che si superi quello che sappiamo: bisognerebbe dire che il piccolo pertugio dal quale guardiamo il mondo è ristretto per comprenderne la vastità. Non ruota tutto intorno a noi maschi, bianchi, europei».

Vorrebbe vivere nel passato? In quale epoca?

«Assolutamente no! Il passato è orrendo: si muore presto e malissimo, la scienza ha un livello imbarazzante. Per non parlate della mancanza di qualsiasi sorta di parità di genere. Ci sono sacche di mondo che ancora sono ai tempi del Medioevo o dell’Età Moderna. Dicevo sempre ai miei studenti: non sareste sopravvissuti nel passato. Io sono molto contento del mio tragico presente anche se mi affascinano molti periodi e me ne sono occupato, così come mi sono occupato moltissimo dei luoghi si scambio come il mare».

Quale differenza esiste tra storia e memoria?

«Storia è quello che tramandiamo attraverso i testi; si sviluppa attraverso un metodo e verifica le fonti attraverso il dubbio critico del passato per trovare il massimo margine di verità. La memoria nasce come singola e si sviluppa come pubblica, divenendo collante. E’ un’idea del nostro passato sulla quale di sviluppa l’identità per dirci che si è svolto tutto in modo coerente. Questo vale per tutte l nostre vite, per i lutti, le gioie, gli amori. Interessante è come la memoria esista riflessa nel gruppo e quindi permetta al gruppo stesso di restare unito. E la memoria non è statica ma si modifica nel tempo. La memoria ha bisogno della storia: si scelgono delle parti e se ne tralasciano altre».

Può fornire un esempio?

«penso a Cristoforo Colombo. Negli anni Venti fu utilizzato dal fascismo come immagine da “santino” nel pantheon degli italiani sommi, esaltato per il suo coraggio, per la sua scoperta. Con la decolonizzazione cogliamo altri elementi: lo si legge come comandante crudele, schiavista e sfruttatore. Qual è il Colombo più vero? Sono falsi e veri entrambi. La memoria tende a polarizzare, la storia mette insieme».

Consiglierebbe a sua figlia di occuparsi di storia?

«La risposta secca è “no” perché la strada è stretta, perché per un periodo è stato facile immaginarsi lo storico come colui che rimane tanto in biblioteca a studiare e poi è docente in università. Oggi occorre tener conto del cambiamento: è un mestiere che richiede un grado di fantasia per richieste e prospettive diverse, in un certo senso più difficile. La risposta vera è che consiglio a mia figlia, e a tutti i giovani, di seguire quello che li rende felici al massimo. Se è la storia che la facciano. Se è altro, facciano altro».

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