American Idiot ha fatto boom!

American Idiot ha fatto boom!
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NOVARA - Una parola sola: STREPITOSO! Applausi e boati si rincorrono sabato sera in un Teatro Coccia sold out, gremito da gente di ogni età (e non solo giovani). A Novara la prima nazionale di “Green Day’s American Idiot” ha fatto boom. Perfetti gli attori in scena, i vestiti calzavano loro a pennello. Trascinanti le canzoni del gruppo musicale statunitense che nei giorni scorsi ha trionfato nella tournée italiana. E poi la regia di Marco Iacomelli, novarese, eccellente talento al lavoro dietro le quinte: ha saputo dare all’allestimento un volto capace di esaltare il ruolo di ognuno nel pieno rispetto dello spirito dello spettacolo e delle canzoni dei Green Day. Orgoglio tutto novarese per la prima punk rock opera italiana: il musical è nato all’ombra della Cupola e dal capoluogo vuole spiccare il volo (prossima tappa Milano, dal 26 gennaio, al Teatro della Luna) per lasciare il segno nel filone che vuole lanciare nel nostro Paese: quello del teatro musicale contemporaneo. Dopo Broadway e Londra arriva finalmente in Italia il musical scritto da Billie Joe Armstrong con le musiche dei Green Day. Lo spettacolo nasce sotto il sigillo di una ampia collaborazione: lo firmano STM – Scuola del Teatro Musicale, Fondazione Teatro Coccia e Reverse Agency con il sostegno di Fondazione CRT. La produzione novarese ha testi in italiano ma canzoni rigorosamente in inglese con band dal vivo: impossibile tradurre i brani ormai inossidabili dei Green Day, racchiusi nel concept album American Idiot che ha raggiunto cifre insuperabili nelle vendite. Attenzione! Warning, un enorme avviso campeggia sul palco prima dello spettacolo: si utilizzeranno (avviso ai naviganti) effetti speciali tra cui luci stroboscopiche, musica ad alto volume e un linguaggio esplicito. Quello delle parolacce e delle scene di sesso mimate. Ma questa è la punk rock opera in scena, la sua essenza. Amore e ribellione, voglia di libertà e ricerca della propria strada: sulla scia del successo discografico planetario, lo spettacolo dà voce al disagio giovanile post adolescenziale, attraverso una storia ambientata nella periferia suburbana di una grande città. «Un musical di formazione, una sorta di Giovane Holden in versione rock», così lo ha definito il regista. E su un cast di 21 attori ben 9 arrivano dalla scuola novarese. Un successo di squadra con giovanissimi interpreti, alcuni al loro debutto nel teatro professionale: per i protagonisti l’età va da 25 a 31 anni.

E ora nel vivo del musical. Tra Bush e Trump, guerra in Iraq e voglia giovanile di riscatto si muove la vicenda di tre amici: Johnny, Tunny e Will. Droga, sesso e rock&roll scandiscono le loro giornate. Dall’altare alla polvere, dal profumo di libertà alla schiavitù che appare sotto diverse forme. I messaggi di Johnny alla mamma (tradotti in italiano) ci dicono che questi giovani sono giunti al bivio: la scelta è decisiva. “Andiamoci a prendere la città” perché “questa è la nostra guerra” e “i bravi ragazzi non si vestono a stelle e strisce”. Trasgressione fa rima con libertà, con la voglia di dimostrare che si è qualcuno. Sederi al vento, perizoma sventolati come bandiere: niente è volgare. Lussuria o risurrezione? Strade opposte. Ma alla fine si è costretti a tornare a casa. E quel biglietto che ci (ri)porterà là costa eccome. Forse giustizia è fatta… Ivan Iannacci è Johnny, il “Jesus of Suburbia”, specchio del leader dei Green Day: un esordiente che spacca, maturo e convincente, sembra Johnny da una vita. È amico di Tunny, inteRpretato da Renato Crudo (anche lui superlativo), e Will, nei suoi panni un Luca Gaudiano perfettamente calato nella parte, un ruolo ricoperto con grande naturalezza. In un mondo che ha perso i suoi riferimenti o si trova il coraggio di prendere decisioni forti o si annega nel buio, nel vuoto. Tunny va in guerra (e questo lo segnerà per sempre, nel fisico e nell’animo): è l’angelo della morte che vola sospeso sul palco del Coccia, Extraordinary Girl ovvero Giulia Dascoli, a vegliare su di lui, condizionabile nella sua fragilità. Will rimane a casa per fare da padre al figlio di Heather (interpretata da Angela Pascucci che vive la sua maternità fino in fondo), diventando grande troppo presto. Johnny trova in Whatsername la ragazza di cui innamorarsi e con cui perdersi, una Natascia Fonzetti di grande spessore e che lei considera «una Giulietta moderna», e incontra St.Jimmy, interpretato da Mario Ortiz (un diavolo moderno, trasuda timore e perdizione), alter ego seducente e pericoloso che vuole condurlo alla lussuria e all’immoralità. Anche il contesto in cui si inserisce la storia è curato nei minimi dettagli. Una scenografia metropolitana, con i graffiti e le luci della città a colorare lo sfondo. Piani diversi, scale che si rincorrono e sembrano salire al cielo. Con i quattro musicisti della band (Riccardo Di Paola direzione e tastiere, Roberta Raschellà chitarre, Orazio Nicoletti basso e Marco Parenti batteria), anche loro strepitosi, a coprire l’intero palco. La coreografia di un professionista come Michael Cohtren Peña, nel pieno rispetto della musica e soprattutto dei ruoli degli interpreti, sa armonizzare passi e canzoni, dando la carica giusta nelle scene più movimentate. E poi su tutto può la potenza (e la bellezza) delle canzoni, interpretate da voci straordinarie, cresciute proprio con i successi dei Green Day. Da soli, quei successi ormai immortali, valgono la presenza in platea: il significato della punk rock opera è tutto lì, in questi testi che nascondono grandezza e miseria, un messaggio contemporaneo frutto del disorientamento di oggi. Tra liricità e apici di grande forza. Le note della chitarra scandiscono “Boulevard of Broken Dreams”, individui incappucciati rincorrono il loro destino. Il fragore delle armi e l’assurdità della guerra rimbombano in “21 Guns” (già videoclip con il cast e la band della versione italiana). Un crescendo di emozioni, da “Jesus of Suburbia” ad “American Idiot”, dall’inedita “When It’s Time” fino al crollo dei sogni di libertà. “Wake Me Up When September Ends”, forse tutto ha una fine… Forse sono un idiota… Ma questa è la mia vita.

Eleonora Groppetti

NOVARA - Una parola sola: STREPITOSO! Applausi e boati si rincorrono sabato sera in un Teatro Coccia sold out, gremito da gente di ogni età (e non solo giovani). A Novara la prima nazionale di “Green Day’s American Idiot” ha fatto boom. Perfetti gli attori in scena, i vestiti calzavano loro a pennello. Trascinanti le canzoni del gruppo musicale statunitense che nei giorni scorsi ha trionfato nella tournée italiana. E poi la regia di Marco Iacomelli, novarese, eccellente talento al lavoro dietro le quinte: ha saputo dare all’allestimento un volto capace di esaltare il ruolo di ognuno nel pieno rispetto dello spirito dello spettacolo e delle canzoni dei Green Day. Orgoglio tutto novarese per la prima punk rock opera italiana: il musical è nato all’ombra della Cupola e dal capoluogo vuole spiccare il volo (prossima tappa Milano, dal 26 gennaio, al Teatro della Luna) per lasciare il segno nel filone che vuole lanciare nel nostro Paese: quello del teatro musicale contemporaneo. Dopo Broadway e Londra arriva finalmente in Italia il musical scritto da Billie Joe Armstrong con le musiche dei Green Day. Lo spettacolo nasce sotto il sigillo di una ampia collaborazione: lo firmano STM – Scuola del Teatro Musicale, Fondazione Teatro Coccia e Reverse Agency con il sostegno di Fondazione CRT. La produzione novarese ha testi in italiano ma canzoni rigorosamente in inglese con band dal vivo: impossibile tradurre i brani ormai inossidabili dei Green Day, racchiusi nel concept album American Idiot che ha raggiunto cifre insuperabili nelle vendite. Attenzione! Warning, un enorme avviso campeggia sul palco prima dello spettacolo: si utilizzeranno (avviso ai naviganti) effetti speciali tra cui luci stroboscopiche, musica ad alto volume e un linguaggio esplicito. Quello delle parolacce e delle scene di sesso mimate. Ma questa è la punk rock opera in scena, la sua essenza. Amore e ribellione, voglia di libertà e ricerca della propria strada: sulla scia del successo discografico planetario, lo spettacolo dà voce al disagio giovanile post adolescenziale, attraverso una storia ambientata nella periferia suburbana di una grande città. «Un musical di formazione, una sorta di Giovane Holden in versione rock», così lo ha definito il regista. E su un cast di 21 attori ben 9 arrivano dalla scuola novarese. Un successo di squadra con giovanissimi interpreti, alcuni al loro debutto nel teatro professionale: per i protagonisti l’età va da 25 a 31 anni.

E ora nel vivo del musical. Tra Bush e Trump, guerra in Iraq e voglia giovanile di riscatto si muove la vicenda di tre amici: Johnny, Tunny e Will. Droga, sesso e rock&roll scandiscono le loro giornate. Dall’altare alla polvere, dal profumo di libertà alla schiavitù che appare sotto diverse forme. I messaggi di Johnny alla mamma (tradotti in italiano) ci dicono che questi giovani sono giunti al bivio: la scelta è decisiva. “Andiamoci a prendere la città” perché “questa è la nostra guerra” e “i bravi ragazzi non si vestono a stelle e strisce”. Trasgressione fa rima con libertà, con la voglia di dimostrare che si è qualcuno. Sederi al vento, perizoma sventolati come bandiere: niente è volgare. Lussuria o risurrezione? Strade opposte. Ma alla fine si è costretti a tornare a casa. E quel biglietto che ci (ri)porterà là costa eccome. Forse giustizia è fatta… Ivan Iannacci è Johnny, il “Jesus of Suburbia”, specchio del leader dei Green Day: un esordiente che spacca, maturo e convincente, sembra Johnny da una vita. È amico di Tunny, inteRpretato da Renato Crudo (anche lui superlativo), e Will, nei suoi panni un Luca Gaudiano perfettamente calato nella parte, un ruolo ricoperto con grande naturalezza. In un mondo che ha perso i suoi riferimenti o si trova il coraggio di prendere decisioni forti o si annega nel buio, nel vuoto. Tunny va in guerra (e questo lo segnerà per sempre, nel fisico e nell’animo): è l’angelo della morte che vola sospeso sul palco del Coccia, Extraordinary Girl ovvero Giulia Dascoli, a vegliare su di lui, condizionabile nella sua fragilità. Will rimane a casa per fare da padre al figlio di Heather (interpretata da Angela Pascucci che vive la sua maternità fino in fondo), diventando grande troppo presto. Johnny trova in Whatsername la ragazza di cui innamorarsi e con cui perdersi, una Natascia Fonzetti di grande spessore e che lei considera «una Giulietta moderna», e incontra St.Jimmy, interpretato da Mario Ortiz (un diavolo moderno, trasuda timore e perdizione), alter ego seducente e pericoloso che vuole condurlo alla lussuria e all’immoralità. Anche il contesto in cui si inserisce la storia è curato nei minimi dettagli. Una scenografia metropolitana, con i graffiti e le luci della città a colorare lo sfondo. Piani diversi, scale che si rincorrono e sembrano salire al cielo. Con i quattro musicisti della band (Riccardo Di Paola direzione e tastiere, Roberta Raschellà chitarre, Orazio Nicoletti basso e Marco Parenti batteria), anche loro strepitosi, a coprire l’intero palco. La coreografia di un professionista come Michael Cohtren Peña, nel pieno rispetto della musica e soprattutto dei ruoli degli interpreti, sa armonizzare passi e canzoni, dando la carica giusta nelle scene più movimentate. E poi su tutto può la potenza (e la bellezza) delle canzoni, interpretate da voci straordinarie, cresciute proprio con i successi dei Green Day. Da soli, quei successi ormai immortali, valgono la presenza in platea: il significato della punk rock opera è tutto lì, in questi testi che nascondono grandezza e miseria, un messaggio contemporaneo frutto del disorientamento di oggi. Tra liricità e apici di grande forza. Le note della chitarra scandiscono “Boulevard of Broken Dreams”, individui incappucciati rincorrono il loro destino. Il fragore delle armi e l’assurdità della guerra rimbombano in “21 Guns” (già videoclip con il cast e la band della versione italiana). Un crescendo di emozioni, da “Jesus of Suburbia” ad “American Idiot”, dall’inedita “When It’s Time” fino al crollo dei sogni di libertà. “Wake Me Up When September Ends”, forse tutto ha una fine… Forse sono un idiota… Ma questa è la mia vita.

Eleonora Groppetti

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