Il culto dei Magi testimoniato dall’arte
NOVARA - Fra i dipinti che si conservano nel Duomo novarese ve ne è uno che raffigura “L’Adorazione dei Magi” (nella foto). È stato realizzato fra il 1539 e il 1540 dal pittore lombardo Callisto Piazza (Lodi, 1475 circa - 1529) e dalla sua bottega su commissione dal nobile novarese Melchiorre Langhi che con questo dipinto voleva commemorare se stesso, il padre Baldassarre e il cugino Gaspare, che degli altri due Magi portavano il nome. L’esecuzione del dipinto ad olio, che ora si trova nella sacrestia inferiore, era collegata alla presenza della cappella che il nobile novarese possedeva nello stesso Duomo, intitolata proprio ai Re Magi unitamente alla più antica intitolazione a San Bartolomeo, non più esistente perchè smontata durante i lavori di ricostruzione ottocenteschi. In quell’occasione gli affreschi dello stesso autore che la decoravano furono alienati, il dipinto con i Re Magi che costituiva la pala d’altare collocato in altro luogo e il sepolcro del Langhi, opera di Giovanni Agostino De Busti detto il Bambaia, che si trovava nella cappella e commissionato contemporaneamente al dipinto, spostato nel quadriportico dove ancora è situato. Nel dipinto novarese il ricco corteo, che si snoda dal fondo e confluisce nelle figure inginocchiate in primo piano ad adorare Gesù tenuto in braccio da Maria, è guidato dalla stella luminosa, a ricordo del racconto evangelico di Matteo. Ma nella scena non compaiono solo i Re Magi, riccamente vestiti mentre offrono i loro doni in pregiati scrigni dorati: Melchiorre Langhi aveva chiesto al pittore di inserire il proprio ritratto e di rappresentare anche San Bartolomeo e San Giuseppe (dipinti alla sinistra della Vergine), a testimonianza di più antiche devozioni locali. Così il pittore, in primo piano, raffigura proprio il ricco committente in abito ecclesiastico nero inginocchiato davanti alla Vergine con le mani giunte, inserendolo in una composizione scenografica in
NOVARA - Fra i dipinti che si conservano nel Duomo novarese ve ne è uno che raffigura “L’Adorazione dei Magi” (nella foto). È stato realizzato fra il 1539 e il 1540 dal pittore lombardo Callisto Piazza (Lodi, 1475 circa - 1529) e dalla sua bottega su commissione dal nobile novarese Melchiorre Langhi che con questo dipinto voleva commemorare se stesso, il padre Baldassarre e il cugino Gaspare, che degli altri due Magi portavano il nome. L’esecuzione del dipinto ad olio, che ora si trova nella sacrestia inferiore, era collegata alla presenza della cappella che il nobile novarese possedeva nello stesso Duomo, intitolata proprio ai Re Magi unitamente alla più antica intitolazione a San Bartolomeo, non più esistente perchè smontata durante i lavori di ricostruzione ottocenteschi. In quell’occasione gli affreschi dello stesso autore che la decoravano furono alienati, il dipinto con i Re Magi che costituiva la pala d’altare collocato in altro luogo e il sepolcro del Langhi, opera di Giovanni Agostino De Busti detto il Bambaia, che si trovava nella cappella e commissionato contemporaneamente al dipinto, spostato nel quadriportico dove ancora è situato. Nel dipinto novarese il ricco corteo, che si snoda dal fondo e confluisce nelle figure inginocchiate in primo piano ad adorare Gesù tenuto in braccio da Maria, è guidato dalla stella luminosa, a ricordo del racconto evangelico di Matteo. Ma nella scena non compaiono solo i Re Magi, riccamente vestiti mentre offrono i loro doni in pregiati scrigni dorati: Melchiorre Langhi aveva chiesto al pittore di inserire il proprio ritratto e di rappresentare anche San Bartolomeo e San Giuseppe (dipinti alla sinistra della Vergine), a testimonianza di più antiche devozioni locali. Così il pittore, in primo piano, raffigura proprio il ricco committente in abito ecclesiastico nero inginocchiato davanti alla Vergine con le mani giunte, inserendolo in una composizione scenografica in cui emergono sia un’accentuata sensibilità per la narrazione sia un’attenta distribuzione dei personaggi attorno alla figura, dolcissima, della Vergine con il Figlio, unita a sicure scelte cromatiche e luminose. Scena particolarmente significativa, che ben rende l’idea della cultura, della ricchezza e della devozione dell’arcidiacono Melchiorre Langhi (Novara?, 1470/75 – 1555), protonotario apostolico, nel 1531 nominato da Francesco II economo generale dello Stato di Milano. Incarico importante, da lui mantenuto fino al 1541 e consistente nella distribuzione dei benefici e delle cariche ecclesiastiche vacanti nello Stato, compito che comportava anche una delicata attività di mediazione fra il duca (o l’imperatore) e il papa.
Ma chi erano questi Re Magi che durante il regno di Erode, “seguendo la stella che avevano visto nel suo sorgere” (Matteo, II, 1-14) si erano recati a Gerusalemme ad adorare il Bambino offrendogli in dono oro, incenso e mirra? I Magi, pur citati nel Vangelo di Matteo e nei Vangeli apocrifi (contenenti suggerimenti che hanno permesso di indicarli come gli antichi Hordmizt di Makhodzi re di Persia, Jazdegerd re di Saba e Peroz re di Seba), sembrano essere personaggi simbolici, a partire dal numero tre (simbolo di perfezione), dal colore della loro pelle (simbolo delle razze umane) e dai loro doni: l’oro che sottolinea la divinità, l’incenso che rimanda all’importanza della preghiera che sale verso il cielo, la mirra che ricorda la futura morte e resurrezione di Cristo. Anche la loro identificazione in sacerdoti originari dell’altopiano iranico, studiosi di astronomia che seguendo la lettura del cielo avevano riconosciuto in Cristo il salvatore universale, nasconde l’idea che possano essere considerati l’elemento di congiunzione fra il cristianesimo, la nuova nascente religione, e i culti misterici orientali. Il soggetto scelto da Melchiorre Langhi per essere ricordato nel luogo più significativo della città, la propria cappella funebre nel Duomo, aveva anche legami devozionali con Milano dove spesso risiedeva e dove in età medievale dei Magi si conservavano i corpi. Infatti, per imprevisti intrecci leggendari, i loro resti mortali, trovati in India dalla regina Elena e poi trasportati a Costantinopoli, nel 1034 furono collocati dentro ad un’arca e depositati nella chiesa milanese di Sant’Eustorgio. Anche se qui non rimasero perché nel 1164 vennero fatti trasferire dall’imperatore nel Duomo di Colonia (alcuni frammenti dei quali furono donati nel 1903 alla Chiesa milanese dall’arcivescovo della città tedesca), il culto verso i Magi si diffuse nei territori lombardi ed è ancora oggi testimoniato non solo dal dipinto novarese ma anche dal trittico d’avorio della Certosa di Pavia che racconta le vicende dei tre re, dall’abbazia cistercense di Voghera a loro dedicata e dal corteo che a Milano, ogni anno, si svolge nel giorno dell’Epifania.
Emiliana Mongiat