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Inaugurato il restyling del monumento ai partigiani martiri di piazza Cavour - VIDEO

La cerimonia nella mattinata di oggi, sabato 24 ottobre.

Inaugurato il restyling del monumento ai partigiani martiri di piazza Cavour - VIDEO
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Nella mattinata di oggi, sabato 24 ottobre, è stato inaugurato il restyling del monumento ai partigiani martiri di piazza Cavour.

Inaugurato in piazza Cavour il monumento ai partigiani martiri di Novara

E' stato inaugurato nella mattinata di oggi, sabato 24 ottobre, il restyling al monumento ai partigiani martiri di piazza Cavour. La cerimonia ha visto la presenza delle delegazioni Anpi e delle autorità cittadine, al momento dello svelamento del monumento, nascosto fino ad allora da un drappo rosso.

Qui il video:

Il monumento della centrale piazza Cavour ricorda un fatto sanguinoso

In piazza Cavour si consumò una rappresaglia che comportò la fucilazione di 4 uomini. Ecco il racconto e la contestualizzazione dell'istituto storico della resistenza di Novara:

La sera del 24 ottobre 1944, a poche ore di distanza dall'eccidio di Piazza Crispi (attuale piazza Martiri della Libertà), furono uccisi per rappresaglia in Piazza Cavour, altri quattro uomini:
• Vittorio Aina, nato a Biandrate il 3 agosto 1921, di professione impiegato, appartenente alla brigata "Matteotti", arrestato il 20 settembre 1944 con l'accusa di aver contribuito alla formazione della squadra partigiana di Porta Mortara e di aver occultato armi nella fornace di cui era direttore. Nel dopoguerra, gli fu intitolata una via proprio nel quartiere di Porta Mortara.
• Mario Campagnoli, nato a Novara il 29 ottobre 1923, studente, impiegato presso un'officina meccanica di precisione, appartenente alla brigata "Matteotti", medaglia d'argento al valor militare. Era stato tra i primi a dar vita, insieme ad Aina, alla "Sap" di Porta Mortara e aveva partecipato all'assalto alla caserma Perrone il 9 settembre 1943 per prelevare armi e munizioni. Fu arrestato alla stazione di Novara il 20 settembre 1944. La brigata "Matteotti" fu poi intitolata a suo nome. Nel dopoguerra gli fu dedicata una via, nel quartiere di San Martino.
• Emilio Lavizzari, nato a Milano, sottotenente del Comando militare della polizia ferroviaria presso la Stazione di Novara, in contatto con la brigata "Rabellotti", fu arrestato nell'autunno del '44 con l'accusa di aver tradito l'esercito repubblicano e di aver sottratto armi per darle ai partigiani. La giovane moglie Luciana cercò in ogni modo di aiutarlo, implorando la grazia ai gerarchi fascisti e al prefetto Vezzalini, ma ottenne solo umiliazioni, insulti e minacce. Nel dopoguerra, a Lavizzari fu intitolata una via nella frazione di Veveri.
• Giuseppe Piccini, nato a Novara il 23 giugno 1926, allievo milite della polizia ferroviaria di Novara, collaborò con la "Sap" di Porta Mortara, cui forniva armi e munizioni. Colto in flagrante durante uno scambio di armi, nei pressi della piscina comunale, fu arrestato e tradotto in carcere. Nel dopoguerra, gli fu intitolata una via nella frazione di Veveri.

Dopo l'arresto, Aina, Campagnoli, Lavizzari e Piccini subirono la stessa sorte degli altri prigionieri allora rinchiusi nelle carceri di Novara. Sottoposti a interrogatori continui e percossi più volte - tanto che la sorella di Campagnoli non riuscì a riconoscerlo per via del volto tumefatto - non sfuggirono alla sete di vendetta del questore Pasqualy e di Martino.
Strappati dalle carceri a forza, nonostante le preghiere di Rina Musso, patronessa delle carceri novaresi, furono caricati su un torpedone che, seguito da un'Aprilia grigia con Pasqualy e Martino, partì da piazza Crispi, proseguì per via Ravizza, imboccò via dei Cattaneo, attraversò la piazzetta del Carmine, si introdusse in via Negroni, quindi in via dei Gautieri e, attraverso piazza Giovannetti, giunse in Corso Cavour, fermandosi nel largo omonimo, sotto una pioggia battente. La città appariva deserta e, agli imbocchi delle strade che danno su piazza Cavour, vi erano militi che impedivano il passaggio e urlavano di chiudere le persiane delle finestre. Dietro i vetri, i Novaresi restavano però in ascolto.
L'Aprilia e il torpedone puntarono i fari contro il bar "Menabrea", mentre i militi si disponevano in semicerchio pronti a sparare. I quattro prigionieri furono fatti uscire dal torpedone, uno alla volta, e spinti contro il muro con calci e pugni. Uno dopo l'altro caddero sotto le raffiche di mitra dei militi fascisti.
Come per i morti di Piazza Crispi, anche qui fu vietato a chiunque di avvicinarsi ai corpi dei caduti. I cadaveri, lasciati lungo il muro del "Menabrea" restarono esposti alla pioggia sino al giorno seguente, quando, grazie all'aiuto di un benefattore di Ghemme e all'insistenza di Rina Musso, poterono finalmente essere rimossi e condotti al cimitero. Durante la notte, tuttavia, mani pietose ricomposero i corpi e deposero sui cadaveri una bandiera italiana. Quella bandiera, ancora macchiata del sangue delle vittime, è oggi conservata a Novara, presso la sede dell'Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea, in corso Cavour n° 15, nella casa che fu un tempo di Piero Fornara, primo prefetto nella Novara liberata.

 

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