Una Fedra al femminile, ma non femminista

Una Fedra al femminile, ma non femminista
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NOVARA - La tragica vicenda mitologica di Fedra, figlia di Minosse e moglie di Teseo, destinata ad innamorarsi del figliastro Ippolito ha ispirato nei secoli diverse opere letterarie, teatrali e anche cinematografiche. L’essere stata respinta da Ippolito la porterà ad accusarlo di violenza carnale. Teseo maledirà Ippolito che morirà e in conseguenza Fedra si suiciderà. Una figura “moderna”, anche per la chiave di lettura psicanalitica, che torna in scena a teatro con uno spettacolo tutto al femminile “Fedra – Diritto all’amore”, in programma giovedì 14 aprile alle 11 al Teatro Coccia di Novara come evento “fuori stagione di prosa”, in chiave inedita: per la prima volta un appuntamento dedicato alle scuole è aperto anche al pubblico, con biglietti a 10 euro. Scritto da Eva Cantarella, una delle più conosciute studiose del mondo classico, con la regia di Consuelo Barilari e l’interpretazione di Galatea Ranzi, lo spettacolo sarà anticipato, per chi lo desidera, alle 9.30 da un’introduzione a cura della regista.

Con Galatea Ranzi, attrice romana di teatro, cinema e televisione, abbiamo cercato di capire meglio questo nuovo progetto improntato su Fedra. «Si tratta di uno spettacolo che trae spunto da varie opere ispirate al personaggio mitologico, quasi un assemblaggio. L’ispirazione principale arriva però dal film “Phedra” di Jules Dassin, del 1962, che a sua volta si ispira alla tragedia di Racine. Una tragedia antica che per la sua connotazione anche morbosa ha sempre avuto una sorta di attualità. La vicenda di una donna con la propria sofferenza interiore che cerca di lottare contro una realtà che le è contraria. Una Fedra al femminile, ma non femminista. Una Fedra che è prima di tutto un essere umano, con i suoi dolori le sue emozioni. Posso dire che con l’autrice e la regista si è creato un ottimo rapporto, si è lavorato molto bene».

In questa lettura del personaggio possiamo forse dire che troviamo una Fedra che sceglie di essere padrona del proprio destino e non essere uno strumento in mano agli dei?

«Per quanto un essere umano possa essere padrone del proprio destino sì. Fedra vuole essere padrona di se stessa. Si assume il peso dei propri errori. Ma il Fato non è inesistente. Siamo immersi in qualche cosa di più grande di noi. Ci troviamo di fronte a un archetipo, come altri della cultura greca, che è di forte attualità».

In questo personaggio, come capita tutti gli attori, cosa ha portato di sé e cosa l’ha colpita di più nella storia di Fedra?

«Questo personaggio mi era già stato proposto alcuni anni fa. Allora sentivo di non essere pronta a interpretarlo. Quando tre anni fa mi proposero questo testo ho capito che era il momento, che ero in grado di rendere partecipe il pubblico del dramma che vive questo personaggio. Un fatto di età e di diversa sensibilità. Anche se gli antichi Greci invecchiavano prima di noi, rispetto ai nostri parametri, il passare degli anni è un elemento importante in questa vicenda. La paura di invecchiare, la sensazione del proprio corpo che cambia, la ricerca di sensazioni e situazioni che ti fanno sentire ancora giovane, come l’innamorarsi di qualcuno con meno anni, sono elementi ancora attuali. Nel personaggio mi hanno colpito diverse cose. Fedra ha alle spalle una storia di trasgressioni in famiglia, un matrimonio con Teseo non felice. Allo stesso tempo è vittima e carnefice. Un personaggio di donna molto forte, che l’amore per Ippolito devasta e che cerca di recuperare il tempo perduto. Una figura attuale non solo per il pubblico femminile. Quanti uomini ad esempio vivono la crisi dei 50 anni? Credo sia una storia di grande emotività. In questi anni è stata rappresentata in luoghi diversi. In un’occasione, dovevamo allestire lo spettacolo in un sito archeologico ma la pioggia ci costrinse in una stanza di servizio che misurava tre metri per sei. Agli spettatori sembrava di entrare nella stanza di Fedra. Un bellissimo effetto. Questo perché la forza del testo e del personaggio sono preponderanti».

Nel maggio del 1990 lei è stata a Novara al Teatro Faraggiana dove debuttò in prima nazionale “L’uomo difficile” di Hugo von Hofmannsthal, per la regia di Luca Ronconi, con un cast d’eccezione che oltre a lei vedeva tra gli altri Umberto Orsini, Marisa Fabbri, Annamaria Guarnieri, Massimo Popolizio e lo stesso Luca Ronconi in scena a recitare. Dopo la prima lo spettacolo rimase una settimana in cartellone. Per preparare la prima la compagna si stabilì a Novara per una quarantina di giorni. Non è più tornata a recitare a Novara da allora?

«No, da quella volta non vi è stata più occasione. Ricordo bene “L’uomo difficile”. Fu un’importante esperienza, un grande impegno. Ricordo il Faraggiana. Non sono mai stata al Teatro Coccia, ne ho sentito parlare ma è la prima volta che salirò sul suo palcoscenico».

Massimo Delzoppo

NOVARA - La tragica vicenda mitologica di Fedra, figlia di Minosse e moglie di Teseo, destinata ad innamorarsi del figliastro Ippolito ha ispirato nei secoli diverse opere letterarie, teatrali e anche cinematografiche. L’essere stata respinta da Ippolito la porterà ad accusarlo di violenza carnale. Teseo maledirà Ippolito che morirà e in conseguenza Fedra si suiciderà. Una figura “moderna”, anche per la chiave di lettura psicanalitica, che torna in scena a teatro con uno spettacolo tutto al femminile “Fedra – Diritto all’amore”, in programma giovedì 14 aprile alle 11 al Teatro Coccia di Novara come evento “fuori stagione di prosa”, in chiave inedita: per la prima volta un appuntamento dedicato alle scuole è aperto anche al pubblico, con biglietti a 10 euro. Scritto da Eva Cantarella, una delle più conosciute studiose del mondo classico, con la regia di Consuelo Barilari e l’interpretazione di Galatea Ranzi, lo spettacolo sarà anticipato, per chi lo desidera, alle 9.30 da un’introduzione a cura della regista.

Con Galatea Ranzi, attrice romana di teatro, cinema e televisione, abbiamo cercato di capire meglio questo nuovo progetto improntato su Fedra. «Si tratta di uno spettacolo che trae spunto da varie opere ispirate al personaggio mitologico, quasi un assemblaggio. L’ispirazione principale arriva però dal film “Phedra” di Jules Dassin, del 1962, che a sua volta si ispira alla tragedia di Racine. Una tragedia antica che per la sua connotazione anche morbosa ha sempre avuto una sorta di attualità. La vicenda di una donna con la propria sofferenza interiore che cerca di lottare contro una realtà che le è contraria. Una Fedra al femminile, ma non femminista. Una Fedra che è prima di tutto un essere umano, con i suoi dolori le sue emozioni. Posso dire che con l’autrice e la regista si è creato un ottimo rapporto, si è lavorato molto bene».

In questa lettura del personaggio possiamo forse dire che troviamo una Fedra che sceglie di essere padrona del proprio destino e non essere uno strumento in mano agli dei?

«Per quanto un essere umano possa essere padrone del proprio destino sì. Fedra vuole essere padrona di se stessa. Si assume il peso dei propri errori. Ma il Fato non è inesistente. Siamo immersi in qualche cosa di più grande di noi. Ci troviamo di fronte a un archetipo, come altri della cultura greca, che è di forte attualità».

In questo personaggio, come capita tutti gli attori, cosa ha portato di sé e cosa l’ha colpita di più nella storia di Fedra?

«Questo personaggio mi era già stato proposto alcuni anni fa. Allora sentivo di non essere pronta a interpretarlo. Quando tre anni fa mi proposero questo testo ho capito che era il momento, che ero in grado di rendere partecipe il pubblico del dramma che vive questo personaggio. Un fatto di età e di diversa sensibilità. Anche se gli antichi Greci invecchiavano prima di noi, rispetto ai nostri parametri, il passare degli anni è un elemento importante in questa vicenda. La paura di invecchiare, la sensazione del proprio corpo che cambia, la ricerca di sensazioni e situazioni che ti fanno sentire ancora giovane, come l’innamorarsi di qualcuno con meno anni, sono elementi ancora attuali. Nel personaggio mi hanno colpito diverse cose. Fedra ha alle spalle una storia di trasgressioni in famiglia, un matrimonio con Teseo non felice. Allo stesso tempo è vittima e carnefice. Un personaggio di donna molto forte, che l’amore per Ippolito devasta e che cerca di recuperare il tempo perduto. Una figura attuale non solo per il pubblico femminile. Quanti uomini ad esempio vivono la crisi dei 50 anni? Credo sia una storia di grande emotività. In questi anni è stata rappresentata in luoghi diversi. In un’occasione, dovevamo allestire lo spettacolo in un sito archeologico ma la pioggia ci costrinse in una stanza di servizio che misurava tre metri per sei. Agli spettatori sembrava di entrare nella stanza di Fedra. Un bellissimo effetto. Questo perché la forza del testo e del personaggio sono preponderanti».

Nel maggio del 1990 lei è stata a Novara al Teatro Faraggiana dove debuttò in prima nazionale “L’uomo difficile” di Hugo von Hofmannsthal, per la regia di Luca Ronconi, con un cast d’eccezione che oltre a lei vedeva tra gli altri Umberto Orsini, Marisa Fabbri, Annamaria Guarnieri, Massimo Popolizio e lo stesso Luca Ronconi in scena a recitare. Dopo la prima lo spettacolo rimase una settimana in cartellone. Per preparare la prima la compagna si stabilì a Novara per una quarantina di giorni. Non è più tornata a recitare a Novara da allora?

«No, da quella volta non vi è stata più occasione. Ricordo bene “L’uomo difficile”. Fu un’importante esperienza, un grande impegno. Ricordo il Faraggiana. Non sono mai stata al Teatro Coccia, ne ho sentito parlare ma è la prima volta che salirò sul suo palcoscenico».

Massimo Delzoppo

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