500mila euro per la ricerca, con il premio a 4 progetti

500mila euro per la ricerca, con il premio a 4 progetti
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NOVARA - Le buone idee, il lavoro costante, la preparazione… pagano. Lo sanno bene al Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università del Piemonte Orientale, presso la Fondazione Novara Sviluppo. Un pool di ricercatori, professori, docenti, dottorandi e post doc, ognuno con specifici campi di studio, analisi e ricerca.

Negli ultimi mesi sono quattro i ricercatori che si sono visti assegnare prestigiosi e congrui riconoscimenti per la loro attività. Ambra Grolla, post doc dello staff del Prof. Armando Genazzani, e Ilaria Gnemmi, post doc nel team del Prof. Fabrizio Condorelli, hanno conquistato il Premio della Società Italiana di Farmacologia mentre Dmitry Lim ed Elena Riboldi si sono aggiudicati il Bando della Fondazione Cariplo: un totale di 550mila euro per la ricerca.

Nel primo caso si tratta di due borse di studio da 25 mila euro ciascuna che permetteranno ad Ambra e Ilaria di proseguire con il loro progetto.

“Ad oggi il cancro rimane purtroppo una tra patologie più diffuse e particolarmente  complicate da trattare – spiega Ambra Grolla  - a causa della sua grande eterogeneità e aggressività. Recentemente, sono state stabilite alcune caratteristiche che accomunano le diverse tipologie di cancro. In altre parole, la cellula tumorale si riadatta ad un ambiente ostile cercando di sopraffare l’ospite, ad esempio aumentando la quantità di proteine che gli danno energia. I miei dati dimostrano che una di queste proteine, oltre ad essere espressa ad elevatissimi livelli nel tumore, viene anche rilasciata ad di fuori della cellula, agendo poi da segnale per altre cellule vicine. Sulla base di tale scoperta è nato questo progetto. L’idea è di usare tecniche di biologia molecolare e di farmacologia per comprendere se questa proteina, nella sua forma secreta, possa diventare un bersaglio per una terapia del futuro”.

“Il mio progetto – spiega invece Ilaria Gnemmi - consiste nel caratterizzare il ruolo della tirosina-chinasi Fes nella progressione del neuroblastoma, il più rilevante tumore solido dell’età pediatrica. Ad oggi, la chemioterapia multipla rappresenta l’approccio convenzionale alla malattia che sfortunatamente sviluppa frequentemente resistenza, dando esiti clinici sfavorevoli”.

“E’ necessario – spiega - individuare nuovi bersagli molecolari al fine di trovare approcci terapeutici meno tossici e in grado di superare il fenomeno della farmacoresistenza. A questo riguardo, proprio la proteina Fes potrebbe rivelarsi quale possibile bersaglio farmacologico innovativo, in quanto la sua attivazione è stata dimostrata associarsi sia alla trasformazione neoplastica sia al suo impedimento. In particolare, studierò la sua implicazione in due importanti processi responsabili della metastatizzazione del neuroblastoma: la migrazione e l’interazione tra il tumore ed il microambiente che lo circonda”.

Di ben altre cifre si parla per gli studi di Dmitry Lim ed Elena Riboldi. Il bando della Fondazione Cariplo ha infatti assegnato a ciascun vincitore ben 250mila euro.

Dmitry dal 2009 a Novara, nello staff del Prof. Armando Genazzani ha al suo curriculum il dottorato di ricerca nella prima stazione zoologica marina al mondo in quel di Napoli. Studia l’Alzheimer, il ruolo di talune proteine che conducono al malfunzionamento prima, alla morte poi, dei neuroni.

“Le demenze – spiega Dmitry Lim - sono oramai la prima causa di disabilità nel mondo occidentale, davanti alle malattie cardiovascolari e al cancro. In Italia, si stima che vi siano circa 600,000 malati di Alzheimer e il numero aumenta con una velocità superiore a quella stimata negli anni passati. Al momento non esistono cure per questa malattia, e quindi nuovi approcci sperimentali sono disperatamente necessari. La teoria più accreditata imputa la genesi della malattia ad un accumulo cerebrale di una proteina, nota come beta amiloide, probabile causa della disfunzione sinaptica e quindi della morte neuronale. Il progetto ipotizza che "la beta amiloide causi una de-regolazione dell'omeostasi del calcio, mediante attivazione di una fosfatasi calcio-dipendente nota come calcineurina, negli astrociti, una popolazione cellulare nel cervello responsabile per supporto metabolico e corretto funzionamento dei neuroni. Questo prima causa un cambiamento nel programma genico astrocitario e quindi innesca cambiamenti funzionali nei neuroni”.

“Se la nostra ipotesi fosse confermata – conclude il Dott. Lim -  si aprirebbero nuovi possibili orizzonti terapeutici, anche alla luce del fatto che inibitori della calcineurina sono già utilizzati ad esempio come immunosoppressori in alcune malattie autoimmuni o per prevenire il rigetto d'organo nei trapianti”.

“Il carcinoma epatocellulare è la forma più comune di tumore del fegato ed ha un alto tasso di mortalità”. Elena Riboldi milanese, sposata con due figli e una vita dedicata alla ricerca è nello staff del Prof. Sica del Dipartimento di Scienze del Farmaco, dal 2009. – Ci riassume l’origine della sua ricerca e del progetto che si è visto assegnare il premio Cariplo.

“Nella maggioranza dei casi – spiega - insorge nel contesto di uno stato di infiammazione cronica del fegato. I nostri dati preliminari suggeriscono che nell’infiammazione associata all’insorgenza del tumore sono coinvolte due molecole che appartengono ad un particolare gruppo di recettori lectinici. Il nostro progetto è volto ad investigare il ruolo di questi recettori nel processo di epatocarcinogenesi”.

 “Se la nostra ipotesi fosse corretta – continua -  andando a bersagliare questi due recettori potremmo modulare la risposta infiammatoria cronica nel fegato e, di conseguenza, interferire con la formazione di quel microambiente che è favorevole alla crescita del tumore. Farmaci diretti contro questi recettori potrebbero rappresentare un intervento di chemioprevenzione, ossia una terapia in grado di interrompere il processo di epatocarcinogenesi.”

Un progetto che impegnerà Elena per i prossimi tre anni: “In questi casi si sente in modo particolare la responsabilità di utilizzare al meglio i soldi della ricerca, un impegno importante che spesso non coincide con le esigenze della famiglia, ma quello che permette di continuare e accettare nuove sfide è una grande passione”.

mo.c.


NOVARA - Le buone idee, il lavoro costante, la preparazione… pagano. Lo sanno bene al Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università del Piemonte Orientale, presso la Fondazione Novara Sviluppo. Un pool di ricercatori, professori, docenti, dottorandi e post doc, ognuno con specifici campi di studio, analisi e ricerca.

Negli ultimi mesi sono quattro i ricercatori che si sono visti assegnare prestigiosi e congrui riconoscimenti per la loro attività. Ambra Grolla, post doc dello staff del Prof. Armando Genazzani, e Ilaria Gnemmi, post doc nel team del Prof. Fabrizio Condorelli, hanno conquistato il Premio della Società Italiana di Farmacologia mentre Dmitry Lim ed Elena Riboldi si sono aggiudicati il Bando della Fondazione Cariplo: un totale di 550mila euro per la ricerca.

Nel primo caso si tratta di due borse di studio da 25 mila euro ciascuna che permetteranno ad Ambra e Ilaria di proseguire con il loro progetto.

“Ad oggi il cancro rimane purtroppo una tra patologie più diffuse e particolarmente  complicate da trattare – spiega Ambra Grolla  - a causa della sua grande eterogeneità e aggressività. Recentemente, sono state stabilite alcune caratteristiche che accomunano le diverse tipologie di cancro. In altre parole, la cellula tumorale si riadatta ad un ambiente ostile cercando di sopraffare l’ospite, ad esempio aumentando la quantità di proteine che gli danno energia. I miei dati dimostrano che una di queste proteine, oltre ad essere espressa ad elevatissimi livelli nel tumore, viene anche rilasciata ad di fuori della cellula, agendo poi da segnale per altre cellule vicine. Sulla base di tale scoperta è nato questo progetto. L’idea è di usare tecniche di biologia molecolare e di farmacologia per comprendere se questa proteina, nella sua forma secreta, possa diventare un bersaglio per una terapia del futuro”.

“Il mio progetto – spiega invece Ilaria Gnemmi - consiste nel caratterizzare il ruolo della tirosina-chinasi Fes nella progressione del neuroblastoma, il più rilevante tumore solido dell’età pediatrica. Ad oggi, la chemioterapia multipla rappresenta l’approccio convenzionale alla malattia che sfortunatamente sviluppa frequentemente resistenza, dando esiti clinici sfavorevoli”.

“E’ necessario – spiega - individuare nuovi bersagli molecolari al fine di trovare approcci terapeutici meno tossici e in grado di superare il fenomeno della farmacoresistenza. A questo riguardo, proprio la proteina Fes potrebbe rivelarsi quale possibile bersaglio farmacologico innovativo, in quanto la sua attivazione è stata dimostrata associarsi sia alla trasformazione neoplastica sia al suo impedimento. In particolare, studierò la sua implicazione in due importanti processi responsabili della metastatizzazione del neuroblastoma: la migrazione e l’interazione tra il tumore ed il microambiente che lo circonda”.

Di ben altre cifre si parla per gli studi di Dmitry Lim ed Elena Riboldi. Il bando della Fondazione Cariplo ha infatti assegnato a ciascun vincitore ben 250mila euro.

Dmitry dal 2009 a Novara, nello staff del Prof. Armando Genazzani ha al suo curriculum il dottorato di ricerca nella prima stazione zoologica marina al mondo in quel di Napoli. Studia l’Alzheimer, il ruolo di talune proteine che conducono al malfunzionamento prima, alla morte poi, dei neuroni.

“Le demenze – spiega Dmitry Lim - sono oramai la prima causa di disabilità nel mondo occidentale, davanti alle malattie cardiovascolari e al cancro. In Italia, si stima che vi siano circa 600,000 malati di Alzheimer e il numero aumenta con una velocità superiore a quella stimata negli anni passati. Al momento non esistono cure per questa malattia, e quindi nuovi approcci sperimentali sono disperatamente necessari. La teoria più accreditata imputa la genesi della malattia ad un accumulo cerebrale di una proteina, nota come beta amiloide, probabile causa della disfunzione sinaptica e quindi della morte neuronale. Il progetto ipotizza che "la beta amiloide causi una de-regolazione dell'omeostasi del calcio, mediante attivazione di una fosfatasi calcio-dipendente nota come calcineurina, negli astrociti, una popolazione cellulare nel cervello responsabile per supporto metabolico e corretto funzionamento dei neuroni. Questo prima causa un cambiamento nel programma genico astrocitario e quindi innesca cambiamenti funzionali nei neuroni”.

“Se la nostra ipotesi fosse confermata – conclude il Dott. Lim -  si aprirebbero nuovi possibili orizzonti terapeutici, anche alla luce del fatto che inibitori della calcineurina sono già utilizzati ad esempio come immunosoppressori in alcune malattie autoimmuni o per prevenire il rigetto d'organo nei trapianti”.

“Il carcinoma epatocellulare è la forma più comune di tumore del fegato ed ha un alto tasso di mortalità”. Elena Riboldi milanese, sposata con due figli e una vita dedicata alla ricerca è nello staff del Prof. Sica del Dipartimento di Scienze del Farmaco, dal 2009. – Ci riassume l’origine della sua ricerca e del progetto che si è visto assegnare il premio Cariplo.

“Nella maggioranza dei casi – spiega - insorge nel contesto di uno stato di infiammazione cronica del fegato. I nostri dati preliminari suggeriscono che nell’infiammazione associata all’insorgenza del tumore sono coinvolte due molecole che appartengono ad un particolare gruppo di recettori lectinici. Il nostro progetto è volto ad investigare il ruolo di questi recettori nel processo di epatocarcinogenesi”.

 “Se la nostra ipotesi fosse corretta – continua -  andando a bersagliare questi due recettori potremmo modulare la risposta infiammatoria cronica nel fegato e, di conseguenza, interferire con la formazione di quel microambiente che è favorevole alla crescita del tumore. Farmaci diretti contro questi recettori potrebbero rappresentare un intervento di chemioprevenzione, ossia una terapia in grado di interrompere il processo di epatocarcinogenesi.”

Un progetto che impegnerà Elena per i prossimi tre anni: “In questi casi si sente in modo particolare la responsabilità di utilizzare al meglio i soldi della ricerca, un impegno importante che spesso non coincide con le esigenze della famiglia, ma quello che permette di continuare e accettare nuove sfide è una grande passione”.

mo.c.

 

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