L’America di Trump? «Non la perderemo»

L’America di Trump? «Non la perderemo»
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«Obama fu la speranza, Trump la promessa di una America che tornerà grande dal punto di vista economico». Di ritorno dagli States giovedì notte, Riccardo Cavanna, Ceo dell’area business del Gruppo di Prato Sesia leader nel packaging, segue da sempre l’internazionalizzazione aziendale che annovera anche uno stabilimento ad Atlanta che realizza il 15% del fatturato globale. Ha seguito il diretta il martedì del cambiamento epocale USA. «Tra Atlanta e Chicago ho partecipato ad una importante fiera di settore, ho parlato con molti colleghi e, da buon conoscitore anche per passione della politica americana, mi sono fatto un’idea precisa della svolta».

«Noi italiani - spiega - compiamo un errore di valutazione fondamentale, inquinato dalla nostra cultura politica fortemente ideologica. Intanto, Trump non è Erdogan o Putin, poi non potrà fare proprio tutto quel che ha promesso avendo a che fare con Camera e Senato, certamente controllati dai Repubblicani, ma non disponibili a ratificare certe scivolate». Sul personaggio, Cavanna racconta un aneddoto: «Andando verso l’aeroporto su un taxi Uber, il conducente nero mi racconta senza peli sulla lingua che gente come lui ha votato Trump perché vicino agli interessi materiali della gente e perché non compromesso con le dinastie e l’establishment del potere dei Clinton o dei Bush. Come dire: è uno di noi, che è protagonista dei reality show, che promette di sostenere l’America, di riportarla grande, favorendo gli americani e non chi delocalizza in Messico e chiude le fabbriche nel Michigan. In più e lo hanno detto senza mezzi termini molti amici imprenditori, puritani come solo in America sono, la Clinton non dava affidamento, aveva “fatto” ammazzare l’ambasciatore in Libia e aveva detto il falso sulle mail. Questo non è tollerato laggìù. Dunque, il ragionamento, anche del 56% delle donne che lo hanno votato, meglio un sessista che una bugiarda». Ma in Italia qualche preoccupazione economica è legittima, o no? «Se Trump introdurrà dazi protettivi bisognerà reagire. Come? Compreremo le loro aziende e produrremo là. Poi, dal punto di vista italiano, c’è da osservare l’inesperienza del neo presidente sulla partita estera, ma noi abbiamo avuto l’esperienza di Berlusconi e avremo buon gioco a rendere loro pan per focaccia...»

L’analisi del presidente di Confindustria Piemonte e di Ain Fabio Ravanelli è prudente, ma tutto sommato ottimista sul futuro dei rapporti Italia-USA. La premessa: «Nella lista degli argomenti che temono gli investitori al primo posto c’è l’incertezza. E, almeno quella, è fugata: un presidente americano ora c’è con grandi potenzialità di governo, avendo dalla sua Camera e Senato». Basterà a fugare tutte le riserve della prima ora? Le tentazioni isolazioniste? «Sappiamo già che il presidente Trump sarà molto diverso dal candidato Trump. Certo non dobbiamo aspettarci capriole rispetto alle attese, dunque seguirà l’ordine del suo programma, ma dubito molto che arriverà a innalzare il muro davanti al Messico. Trump resta tuttavia un’incognita, soggetto ad errori, che pure i suoi predecessori tuttora in carica - Obama e Clinton -, non si sono risparmiati, vedi gli sviluppi tra Siria e Libia, ad esempio. Farà però una cosa sicuramente buona: tenterà di normalizzare i rapporti con la Russia nell’ottica di andare nella direzione di cancellare le sanzioni».

Ma le accelerazioni protezionistiche, gli accordi di libero scambio minacciati d’arrivo, Tpp nell’area Pacifico e Ttip con la Ue? «Saranno limitati, non tornerà indietro, si giocherebbe la faccia. Ma dobbiamo distinguere. Penso che si muoverà con forza contro l’inondazione del mercato americano di prodotti di bassa qualità cinesi o dai mercati mediorientali, mentre l’eccellenza del Made in Italy, molto ricercata in USA, dubito che verrà intaccata. In ogni caso diamo tempo al tempo prima di fasciarci la testa sapendo però che per i trattati di libero scambio sarà un po’ complicato vedere prospettive nell’immediato».

E il presidente di Sistema Moda Italia, il novarese Claudio Marenzi, titolare della Herno di Lesa, interrogato sulle relazioni commerciali, afferma: «Le implicazioni della vittoria di Trump potranno essere valutate solo nel medio periodo, quando sarà più chiaro quali delle promesse elettorali fatte in campagna riuscirà ad implementare e in che tempi. Oggi, gli Stati Uniti, nonostante la presenza di già forti dazi all’importazione, rappresentano una delle maggiori aree di export per i nostri prodotti. Ci aspettiamo che, nel futuro, l’annunciata politica protezionistica non si trasformi in una politica commerciale isolazionista; questa potrebbe generare una ulteriore instabilità negli scambi commerciali mondiali, anche a causa di possibili guerre commerciali e valutarie».

Roberto Azzoni

Giovanni Orso

Leggi di più sul Corriere di Novara di sabato 12 novembre 2016  

«Obama fu la speranza, Trump la promessa di una America che tornerà grande dal punto di vista economico». Di ritorno dagli States giovedì notte, Riccardo Cavanna, Ceo dell’area business del Gruppo di Prato Sesia leader nel packaging, segue da sempre l’internazionalizzazione aziendale che annovera anche uno stabilimento ad Atlanta che realizza il 15% del fatturato globale. Ha seguito il diretta il martedì del cambiamento epocale USA. «Tra Atlanta e Chicago ho partecipato ad una importante fiera di settore, ho parlato con molti colleghi e, da buon conoscitore anche per passione della politica americana, mi sono fatto un’idea precisa della svolta».

«Noi italiani - spiega - compiamo un errore di valutazione fondamentale, inquinato dalla nostra cultura politica fortemente ideologica. Intanto, Trump non è Erdogan o Putin, poi non potrà fare proprio tutto quel che ha promesso avendo a che fare con Camera e Senato, certamente controllati dai Repubblicani, ma non disponibili a ratificare certe scivolate». Sul personaggio, Cavanna racconta un aneddoto: «Andando verso l’aeroporto su un taxi Uber, il conducente nero mi racconta senza peli sulla lingua che gente come lui ha votato Trump perché vicino agli interessi materiali della gente e perché non compromesso con le dinastie e l’establishment del potere dei Clinton o dei Bush. Come dire: è uno di noi, che è protagonista dei reality show, che promette di sostenere l’America, di riportarla grande, favorendo gli americani e non chi delocalizza in Messico e chiude le fabbriche nel Michigan. In più e lo hanno detto senza mezzi termini molti amici imprenditori, puritani come solo in America sono, la Clinton non dava affidamento, aveva “fatto” ammazzare l’ambasciatore in Libia e aveva detto il falso sulle mail. Questo non è tollerato laggìù. Dunque, il ragionamento, anche del 56% delle donne che lo hanno votato, meglio un sessista che una bugiarda». Ma in Italia qualche preoccupazione economica è legittima, o no? «Se Trump introdurrà dazi protettivi bisognerà reagire. Come? Compreremo le loro aziende e produrremo là. Poi, dal punto di vista italiano, c’è da osservare l’inesperienza del neo presidente sulla partita estera, ma noi abbiamo avuto l’esperienza di Berlusconi e avremo buon gioco a rendere loro pan per focaccia...»

L’analisi del presidente di Confindustria Piemonte e di Ain Fabio Ravanelli è prudente, ma tutto sommato ottimista sul futuro dei rapporti Italia-USA. La premessa: «Nella lista degli argomenti che temono gli investitori al primo posto c’è l’incertezza. E, almeno quella, è fugata: un presidente americano ora c’è con grandi potenzialità di governo, avendo dalla sua Camera e Senato». Basterà a fugare tutte le riserve della prima ora? Le tentazioni isolazioniste? «Sappiamo già che il presidente Trump sarà molto diverso dal candidato Trump. Certo non dobbiamo aspettarci capriole rispetto alle attese, dunque seguirà l’ordine del suo programma, ma dubito molto che arriverà a innalzare il muro davanti al Messico. Trump resta tuttavia un’incognita, soggetto ad errori, che pure i suoi predecessori tuttora in carica - Obama e Clinton -, non si sono risparmiati, vedi gli sviluppi tra Siria e Libia, ad esempio. Farà però una cosa sicuramente buona: tenterà di normalizzare i rapporti con la Russia nell’ottica di andare nella direzione di cancellare le sanzioni».

Ma le accelerazioni protezionistiche, gli accordi di libero scambio minacciati d’arrivo, Tpp nell’area Pacifico e Ttip con la Ue? «Saranno limitati, non tornerà indietro, si giocherebbe la faccia. Ma dobbiamo distinguere. Penso che si muoverà con forza contro l’inondazione del mercato americano di prodotti di bassa qualità cinesi o dai mercati mediorientali, mentre l’eccellenza del Made in Italy, molto ricercata in USA, dubito che verrà intaccata. In ogni caso diamo tempo al tempo prima di fasciarci la testa sapendo però che per i trattati di libero scambio sarà un po’ complicato vedere prospettive nell’immediato».

E il presidente di Sistema Moda Italia, il novarese Claudio Marenzi, titolare della Herno di Lesa, interrogato sulle relazioni commerciali, afferma: «Le implicazioni della vittoria di Trump potranno essere valutate solo nel medio periodo, quando sarà più chiaro quali delle promesse elettorali fatte in campagna riuscirà ad implementare e in che tempi. Oggi, gli Stati Uniti, nonostante la presenza di già forti dazi all’importazione, rappresentano una delle maggiori aree di export per i nostri prodotti. Ci aspettiamo che, nel futuro, l’annunciata politica protezionistica non si trasformi in una politica commerciale isolazionista; questa potrebbe generare una ulteriore instabilità negli scambi commerciali mondiali, anche a causa di possibili guerre commerciali e valutarie».

Roberto Azzoni

Giovanni Orso

Leggi di più sul Corriere di Novara di sabato 12 novembre 2016  

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