«Non si governa l’Italia come un sindaco»

«Non si governa l’Italia come un sindaco»
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«Europa e riforme non con lentezza, ma con decisione, sapendo, però, che c’è da gestire la complessità di un Paese che non può essere governato col metodo di un sindaco d’Italia». Enrico Letta parla del suo nuovissimo libro che si intitola “Andare insieme, andare lontano”, edito da Mondadori a fine aprile. L’ex premier sta portandolo il giro per l’Italia.  E il tour arriva in Piemonte:  domani toccherà Biella, dove Letta si è sposato, alle ore 18,30, e, a seguire, a Novara, città della moglie, dove gli amici hanno organizzato un evento al Piccolo Coccia di piazza Martiri alle ore 21. Letta è stato premier dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014, fino all’avvento di Matteo Renzi, è tuttora deputato del Pd (pochi giorni fa ha dichiarato il suo voto contro l’Italicum) e durante il programma di Fazio “Che tempo che fa” ha annunciato: «Mi dimetto dal Parlamento. Voglio vivere del mio lavoro: guiderò la scuola di affari internazionali dell'università di Parigi (Sciences-Po) e non percepirò la pensione da parlamentare». Con  “Andare insieme, andare lontano”, Letta torna a raccontarsi dopo oltre un anno di silenzio.  “Se vuoi correre veloce vai da solo, se vuoi andare lontano devi farlo insieme” recita un adagio africano. Una metafora adatta a descrivere l’orizzonte che l’Italia e l’Europa hanno dinanzi a sé. 

Ecco, di libreria in libreria non le sembra di tornare indietro di dieci anni, al tour che fece con Bersani per sentire il polso dei distretti industriali italiani? Allora si avvertiva la crisi in arrivo, poi è arrivata e nessuno ha saputo governarla per tempo... 

«Ha colto nel segno. Sono stato a Pordenone, sabato a Padova. E’ esattamente lo spirito con cui ho affrontato e spiegato il libro. Il punto essenziale e che in dieci anni la situazione è peggiorata perché la globalizzazione è stata subita: ancora adesso non ci rendiamo conto del fatto che il Paese necessita di un cambio di passo radicale nel modo di fare industria tenendo conto dell’impatto della rete e di internet che stanno condizionando fortemente la distribuzione».

Cambio di passo: come?

«In pratica oggi  sta letteralmente saltando il processo di intermediazione e ciò obbliga a spingere l’acceleratore  sul brand e sul prodotto che diventano elementi essenziali. Dobbiamo  affrontare e  ragionare sul come adeguare le politiche industriali. Centrali sono l’incontro tra la ricerca, collegata allo sviluppo dei marchi e su ciò che è bene immateriale per un’azienda, e la dimensione d’impresa.  Una riflessione sul tema della dimensione è obbligata sapendo che per stare sui mercati globali servono economie di scala più larghe. E, allora, si tratta di definire modi e azioni per aiutare le imprese a stare su questi mercati, ad avere personale dedicato e formato che sappia parlare inglese e gestire dinamiche multiformi. Temi forti e fondamentali per dare futuro».

Nel Biellese ci sono  23 mila iscritti al collocamento,  Novara ha perso 800 imprese  in cinque anni. L’emergenza occupazione è sempre più forte: non è priorità italiana?

«Nel libro avanzo una  proposta all’Europa: quella di dedicarsi di più alla lotta alla disoccupazione ‘costruendo’ una forma di assicurazione  con bandiera a dodici stelle contro la disoccupazione».

La ‘sua’ metafora africana può essere estesa al caso italiano: il modello del sindaco d’Italia, simbolo della necessità di decidere saltando meccanismi e processi farraginosi e burocratici,  non le piace proprio?

«Trattare i nodi del Paese  come se si trattassero quelli di un Comune è una semplificazione. Mentre un Comune funziona per cinque anni in mano a un sindaco, a livello nazionale è una pia illusione. Basta vedere il caos di questi giorni sull’Iva, per non parlare del tema-scuola dove solo  l’intervento del Parlamento è riuscito a raddrizzare una riforma partita malissimo dal governo con l’uomo solo al comando. E’ vero, c’è bisogno di più decisione, ma sapendo che il processo va gestito tenendo conto della complessità dell’Italia, un paese fatto di regioni peculiari e che deve ragionare con l’Europa. Altrimenti si fanno pasticci». 

Roberto Azzoni

Leggi tutta l’intervista sul Corriere di Novara di lunedì 25 maggio 2015 

«Europa e riforme non con lentezza, ma con decisione, sapendo, però, che c’è da gestire la complessità di un Paese che non può essere governato col metodo di un sindaco d’Italia». Enrico Letta parla del suo nuovissimo libro che si intitola “Andare insieme, andare lontano”, edito da Mondadori a fine aprile. L’ex premier sta portandolo il giro per l’Italia.  E il tour arriva in Piemonte:  domani toccherà Biella, dove Letta si è sposato, alle ore 18,30, e, a seguire, a Novara, città della moglie, dove gli amici hanno organizzato un evento al Piccolo Coccia di piazza Martiri alle ore 21. Letta è stato premier dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014, fino all’avvento di Matteo Renzi, è tuttora deputato del Pd (pochi giorni fa ha dichiarato il suo voto contro l’Italicum) e durante il programma di Fazio “Che tempo che fa” ha annunciato: «Mi dimetto dal Parlamento. Voglio vivere del mio lavoro: guiderò la scuola di affari internazionali dell'università di Parigi (Sciences-Po) e non percepirò la pensione da parlamentare». Con  “Andare insieme, andare lontano”, Letta torna a raccontarsi dopo oltre un anno di silenzio.  “Se vuoi correre veloce vai da solo, se vuoi andare lontano devi farlo insieme” recita un adagio africano. Una metafora adatta a descrivere l’orizzonte che l’Italia e l’Europa hanno dinanzi a sé. 

Ecco, di libreria in libreria non le sembra di tornare indietro di dieci anni, al tour che fece con Bersani per sentire il polso dei distretti industriali italiani? Allora si avvertiva la crisi in arrivo, poi è arrivata e nessuno ha saputo governarla per tempo... 

«Ha colto nel segno. Sono stato a Pordenone, sabato a Padova. E’ esattamente lo spirito con cui ho affrontato e spiegato il libro. Il punto essenziale e che in dieci anni la situazione è peggiorata perché la globalizzazione è stata subita: ancora adesso non ci rendiamo conto del fatto che il Paese necessita di un cambio di passo radicale nel modo di fare industria tenendo conto dell’impatto della rete e di internet che stanno condizionando fortemente la distribuzione».

Cambio di passo: come?

«In pratica oggi  sta letteralmente saltando il processo di intermediazione e ciò obbliga a spingere l’acceleratore  sul brand e sul prodotto che diventano elementi essenziali. Dobbiamo  affrontare e  ragionare sul come adeguare le politiche industriali. Centrali sono l’incontro tra la ricerca, collegata allo sviluppo dei marchi e su ciò che è bene immateriale per un’azienda, e la dimensione d’impresa.  Una riflessione sul tema della dimensione è obbligata sapendo che per stare sui mercati globali servono economie di scala più larghe. E, allora, si tratta di definire modi e azioni per aiutare le imprese a stare su questi mercati, ad avere personale dedicato e formato che sappia parlare inglese e gestire dinamiche multiformi. Temi forti e fondamentali per dare futuro».

Nel Biellese ci sono  23 mila iscritti al collocamento,  Novara ha perso 800 imprese  in cinque anni. L’emergenza occupazione è sempre più forte: non è priorità italiana?

«Nel libro avanzo una  proposta all’Europa: quella di dedicarsi di più alla lotta alla disoccupazione ‘costruendo’ una forma di assicurazione  con bandiera a dodici stelle contro la disoccupazione».

La ‘sua’ metafora africana può essere estesa al caso italiano: il modello del sindaco d’Italia, simbolo della necessità di decidere saltando meccanismi e processi farraginosi e burocratici,  non le piace proprio?

«Trattare i nodi del Paese  come se si trattassero quelli di un Comune è una semplificazione. Mentre un Comune funziona per cinque anni in mano a un sindaco, a livello nazionale è una pia illusione. Basta vedere il caos di questi giorni sull’Iva, per non parlare del tema-scuola dove solo  l’intervento del Parlamento è riuscito a raddrizzare una riforma partita malissimo dal governo con l’uomo solo al comando. E’ vero, c’è bisogno di più decisione, ma sapendo che il processo va gestito tenendo conto della complessità dell’Italia, un paese fatto di regioni peculiari e che deve ragionare con l’Europa. Altrimenti si fanno pasticci». 

Roberto Azzoni

Leggi tutta l’intervista sul Corriere di Novara di lunedì 25 maggio 2015 

 

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