«Per le Pmi, serve un abito su misura»
Sono le Pmi, con i loro piccoli numeri ma con il loro grande potenziale, ad essere la “chiave di svolta” di un Paese dove si stanno facendo sentire i primi timidi segnali di ripresa che sono “germogli da proteggere”. Giorgio Squinzi, tra i tanti temi toccati nella sua articolata ed approfondita relazione all’Assemblea di Confindustria, tenutasi giovedì scorso all’Expo di Milano, ha messo più volte l’accento sul manifatturiero italiano e la parola “manifattura”, sostantivo peraltro frequente nella narrazione squinziana della realtà imprenditoriale, è tornato più volte, innestandosi sui macrotemi urgenti che disegnano il perimetro di quella politica industriale che l’impresa italiana da troppo tempo chiede senza trovare risposte: una maggior apertura alla concorrenza per liberare il mercato da rendite monopolistiche, un legame più forte tra salario e produttività nella impostazione dei contratti, gli investimenti infrastrutturali sia nel settore materiale sia in quello immateriale dove education, ricerca e innovazione sono sempre più i driver della società che verrà.
Certo, il problema dimensionale dell’impresa media italiana pesa, ma le potenzialità di crescita che essa rivela è forte. Ed è da questo preciso dato che occorre partire per superare l’elemento ostativo all’espansione. Il freno a mano tirato, infatti, è costituito non tanto (o non solo) da una congiuntura non brillante, ma da un sistema di regole burocratiche e fiscali formattate su un unico modello di impresa, senza tener conto di differenze apprezzabili che invece pesano: oggi, una piccola industria si vede applicati, sotto molteplici aspetti legislativi e fiscali, in maniera anelastica gli stessi parametri previsti per la grande industria. Per questo, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, è stato chiarissimo: almeno per una certa categoria di Pmi occorre un “abito su misura” che le renda più competitive nella gara che esse devono correre.
Con le sue 18.857 imprese registrare a fine 2014, il territorio biellese rappresenta bene una realtà come quella richiamata da Squinzi. Non diversamente dal vicino territorio novarese, con il suo sistema produttivo di 31.384 imprese (sempre a fine 2014). Non solo, ma lo stesso Piemonte, con i suoi 11 Poli di Innovazione che raccolgono molte Pmi settoriali, è la dimostrazione di una peculiarità richiamata da Squinzi nel suo discorso: una parte importante di queste di piccole-medie imprese fanno innovazione, esportano, integrano l’information technology nei prodotti, parlano le lingue del business globale ed è per queste che occorre l’abito on measure. Confindustria, per Squinzi, può fare la propria parte con un fondo speciale a loro dedicato. Ma a pesare resta certamente la sperequazione di norme e leggi nelle cui pieghe pare annidarsi una cultura anti-impresa, «una mentalità - ha detto Squinzi - che considera ancora l’imprenditore come nemico».
Giovanni Orso
Sono le Pmi, con i loro piccoli numeri ma con il loro grande potenziale, ad essere la “chiave di svolta” di un Paese dove si stanno facendo sentire i primi timidi segnali di ripresa che sono “germogli da proteggere”. Giorgio Squinzi, tra i tanti temi toccati nella sua articolata ed approfondita relazione all’Assemblea di Confindustria, tenutasi giovedì scorso all’Expo di Milano, ha messo più volte l’accento sul manifatturiero italiano e la parola “manifattura”, sostantivo peraltro frequente nella narrazione squinziana della realtà imprenditoriale, è tornato più volte, innestandosi sui macrotemi urgenti che disegnano il perimetro di quella politica industriale che l’impresa italiana da troppo tempo chiede senza trovare risposte: una maggior apertura alla concorrenza per liberare il mercato da rendite monopolistiche, un legame più forte tra salario e produttività nella impostazione dei contratti, gli investimenti infrastrutturali sia nel settore materiale sia in quello immateriale dove education, ricerca e innovazione sono sempre più i driver della società che verrà.
Certo, il problema dimensionale dell’impresa media italiana pesa, ma le potenzialità di crescita che essa rivela è forte. Ed è da questo preciso dato che occorre partire per superare l’elemento ostativo all’espansione. Il freno a mano tirato, infatti, è costituito non tanto (o non solo) da una congiuntura non brillante, ma da un sistema di regole burocratiche e fiscali formattate su un unico modello di impresa, senza tener conto di differenze apprezzabili che invece pesano: oggi, una piccola industria si vede applicati, sotto molteplici aspetti legislativi e fiscali, in maniera anelastica gli stessi parametri previsti per la grande industria. Per questo, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, è stato chiarissimo: almeno per una certa categoria di Pmi occorre un “abito su misura” che le renda più competitive nella gara che esse devono correre.
Con le sue 18.857 imprese registrare a fine 2014, il territorio biellese rappresenta bene una realtà come quella richiamata da Squinzi. Non diversamente dal vicino territorio novarese, con il suo sistema produttivo di 31.384 imprese (sempre a fine 2014). Non solo, ma lo stesso Piemonte, con i suoi 11 Poli di Innovazione che raccolgono molte Pmi settoriali, è la dimostrazione di una peculiarità richiamata da Squinzi nel suo discorso: una parte importante di queste di piccole-medie imprese fanno innovazione, esportano, integrano l’information technology nei prodotti, parlano le lingue del business globale ed è per queste che occorre l’abito on measure. Confindustria, per Squinzi, può fare la propria parte con un fondo speciale a loro dedicato. Ma a pesare resta certamente la sperequazione di norme e leggi nelle cui pieghe pare annidarsi una cultura anti-impresa, «una mentalità - ha detto Squinzi - che considera ancora l’imprenditore come nemico».
Giovanni Orso