Omicidio di Pombia: nessun confronto in aula tra killer e presunto mandante
La sentenza su questo aspetto della vicenda è attesa in Corte d'Assise d'Appello per il 21 marzo
Omicidio di Pombia: non c'è stato l'atteso confronto tra Antonio Lembo e Giuseppe Cauchi. La sentenza è attesa per il 21 marzo.
Si torna in aula per l'omicidio di Pombia
Al processo Mendola non c’è stato l’atteso confronto tra presunto mandante ed esecutore materiale. Si è riaperto così, in Corte di assise di appello a Torino, il processo per l’omicidio di Matteo Mendola, il trentatreenne di Gela ucciso a colpi di pistola nei boschi di Pombia la sera del 4 aprile 2017 e trovato cadavere la mattina successiva da un appassionato di archeologia locale all’interno di un rudere abbadonato. L’imputato è Giuseppe Cauchi, 54 anni, imprenditore edile, anche lui gelese, considerato dalla pubblica accusa il mandante del delitto. Nel 2019 era stato assolto in primo grado, ma il pm Mario Andrighi aveva impugnato. Per gli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo un’altra battaglia per affermare l’estraneità di Cauchi.
Nessun confronto tra Cauchi e Lembo
Nell’udienza di lunedì 7 marzo non è andato in scena l’annunciato faccia a faccia con Antonio Lembo, 31 anni di Busto Arsizio, esecutore materiale e reo confesso, già condannato a 30 anni. Subito dopo l’arresto da parte dei militari, Lembo aveva confessato l’omicidio. Cauchi e Lembo, vale ricordarlo, si erano già incontrati in aula a suo tempo, un’udienza in cui Lembo aveva soltanto saputo ripetere “non ricordo”. Così Gabriele Pipicelli, difensore di Lembo: “Nemmeno stamane (il 7 marzo: ndr) c’è stato il confronto, Cauchi infatti, pur presente, non ha voluto sottoporsi all’esame, mentre il mio assistiuto che da circa 40 giorni si trova in isolamento per via del clima pesante che si è creato in carcere - a breve sarà trasferito - ha risposto alle domande di tutti e ha confermato essere Cauchi il mandante questo omicidio”. Pipicelli ha ripresentato un nuovo ricorso in Cassazione per la concedibilità o meno delle attenuanti generiche.
La sentenza è attesa per il 21 marzo
Quel martedì di cinque anni fa Lembo aveva agito in località Baraggia, nella frazione San Giorgio di Pombia, insieme a un complice, Angelo Mancino, originario di Monte San Salvino in provincia di Arezzo, condannato in via definitiva, sempre a 30 anni, anche lui con rito abbreviato. Secondo la ricostruzione Mendola sarebbe stato attirato con una scusa in quella zona isolata e boschiva, proprio perché doveva essere ucciso. E così era stato, raggiunto da colpi di pistola, una Makarov calibro 9, e poi finito, con il cranio fracassato, per mezzo di una vecchia batteria d’auto trovata sul posto. I carabinieri del Nor di Arona avevano ricostruito il movente, arrivando a Lembo e Mancino grazie a cellule telefoniche e sistemi di videosorveglianza. Stando a quanto aveva raccontato lo stesso Lembo era stato un altro gelese, l’imprenditore Cauchi finito anch’esso alla sbarra, a dare l’ordine di uccidere il giovane operaio, pare per un regolamento di conti legato al traffico di droga, o forse anche per saldare un presunto debito che il fratello aveva contratto con Cauchi lavorando nei suoi cantieri. Versioni, queste, mai accertate fino in fondo. Il 21 prossimo marzo la discussione e, salvo imprevisti, la sentenza di questa brutta storia.