Parte da Borgomanero l'appello di Toni Capuozzo per il caso di Luca Attanasio
All'incontro, moderato dal giornalista Daniele Godio, era presente anche il padre dell'ambasciatore, Salvatore Attanasio.
L'appello del giornalista Toni Capuozzo: "Verità e giustizia sull'uccisione in Congo dell'ambasciatore Luca Attanasio".
Toni Capuozzo a Borgomanero lancia l'appello per fare luce sull'uccisione di Luca Attanasio
«Continuare a ricordare non è solamente un dovere civico, ma vuol dire anche accompagnare i magistrati in un’inchiesta che non è semplice, su un agguato che ha ancora molti punti di domanda». Così il giornalista Toni Capuozzo, dal salone del collegio Don Bosco dove è intervenuto per presentare il suo ultimo libro, «Piccole patrie», è intervenuto sul caso dell’uccisione dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio. L’inchiesta è in corso sulla morte dell’ambasciatore, ma ormai sono passati mesi e di quanto successo non si parla più. All’incontro era presente anche il padre di Attanasio, Salvatore, che ha ricordato la figura del figlio, morto a febbraio nello stato africano: «E’ stato un attacco allo Stato - così Attanasio - non una cosa da poco. Luca rappresentava l’Italia, e noi chiediamo solamente la verità. Vogliamo capire se si è trattato di un incidente, ma troppi elementi lo fanno escludere: dalle modalità con cui Luca è stato ucciso appare chiaro che cercassero proprio lui, e che non erano 4 balordi che volevano rubare i portafogli. Luca è diventato ambasciatore a 40 anni per merito e non per caso: era un gigante di umanità e generosità, nelle situazioni critiche cercava sempre di intervenire».
Il racconto della guerra: "La democrazia non la si può esportare"
E proprio sulle situazioni critiche che pure lui ha vissuto è proseguito l’incontro al Don Bosco con Capuozzo, che ha raccontato, intervistato dal giornalista Daniele Godio, alcuni episodi della sua vita di inviato di guerra, titolo che ha sempre rifiutato: «L’Afghanistan - non poteva che non partire da qui il racconto - è stato uno schiaffo in faccia per tutti, ma non è che in Libia, in Siria o in Irak sia andata meglio. La democrazia non la si può esportare, ce la si deve conquistare se si può e se si vuole. Non ho mai pensato - ha continuato Capuozzo la sua riflessione pubblica - che il giornalismo fosse un modo per salvare il mondo, se fossi stato un medico o un ambasciatore sarei stato sicuramente più utile. Ma sono contento di avere illuso le persone che ho intervistato che il mio lavoro avrebbe cambiato le cose. Siamo assuefatti al veleno, i morti dopo un po’ nei bollettini dei telegiornali diventano dei numeri, così nel racconto della pandemia come nei bollettini di guerra da Baghdad. Ogni vita è unica, ed è difficile da spiegare questa cosa quando dici “oggi ci sono stati 50 morti”. Nell’informazione siamo diventati esattamente come siamo nei consumi, siamo compulsivi nell’informazione come nello shopping».