Nuove minacce di esecuzione per Djalali. Amnesty e Zaki: "Salviamo Ahmad"
Sulla sorte del ricercatore in forza all'Università del Piemonte orientale di Novara si sono espressi sia Amnesty International Italia che Patrick Zaki
Nuove minacce di esecuzione capitale giungono in questi giorni dall'Iran, dove è detenuto Ahmadreza Djalali, il ricercatore esperto di Medicina dei disastri e assistenza umanitaria dell'Università del Piemonte orientale di Novara. E sul caso si pronuncia anche Patrick Zaki.
Nuove voci su una imminente esecuzione di Djalali
Secondo l’agenzia di stampa privata iraniana Mehr News Agency, dopo la sospensione decisa da tempo, sarebbe nuovamente imminente l’esecuzione di Ahmadreza Djalali, il ricercatore esperto di medicina dei disastri in forza al Crimedim dell'Università del Piemonte orientale di Novara detenuto ormai da anni dal governo di Teheran.
Detenuto in condizioni inaccettabili
"Secondo le informazioni fornite dal suo avvocato - scrivono da Amnesty International Italia - Djalali non può telefonare alla sua famiglia in Iran, non può incontrare o parlare col suo avvocato, è in isolamento e perennemente minacciato di esecuzione. Prima della sua ultima telefonata del 24 novembre, ad Ahmadreza è stato negato il diritto di effettuare telefonate per sette settimane. Secondo precedenti racconti forniti da Djalali, le condizioni nelle celle di isolamento sono inaccettabili, con solo 180 cm × 180 cm di spazio, niente finestre e niente mobili. La cella è altamente antigienica, con solo 3 vecchie coperte che dovevano essere utilizzate come materasso, cuscino e riparo dal freddo. Le celle sono sporche e piene di formiche e scarafaggi. Le condizioni in cui persiste la detenzione di Djalali sono disumane: oltre alla continua paura dell’esecuzione, il ricercatore è sottoposto a continue e immense torture. Più tempo passa, maggiore è il rischio che l’esecuzione abbia luogo. Ora che si avvicinano le vacanze, non sappiamo cosa intende fare l’Iran e cosa accadrà ad Ahmadreza".
Una vicenda lunga e complessa
"Ahmadreza Djalali è stato condannato in via definitiva a morte da un tribunale iraniano con l’accusa di “spionaggio” - riassumono gli attivisti di Amnesty nella pagina dedicata al ricercatore - Djalali è stato arrestato dai servizi segreti mentre si trovava in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz. Si è visto ricusare per due volte un avvocato di sua scelta. Le autorità iraniane hanno fatto forti pressioni su Djalali affinché firmasse una dichiarazione in cui “confessava” di essere una spia per conto di un “governo ostile”. Quando ha rifiutato, è stato minacciato di essere accusato di reati più gravi. Ahmad avrebbe anche urgente bisogno di cure mediche specialistiche. Nell’ultimo anno, tre diversi esami del sangue hanno indicato che ha un numero basso di globuli bianchi. Un medico che lo ha visitato in carcere all’inizio del 2019 ha detto che deve essere visto da medici specializzati in ematologia e oncologia in un ospedale fuori dal carcere. Dal suo arresto il 26 aprile 2016, ha perso 24 kg e ora pesa 51 kg. L’Università del Piemonte Orientale è sempre rimasta in contatto con Vida e ha messo in atto ogni possibile intervento, in accordo con le istituzioni nazionali ed europee, per richiedere la liberazione di Ahmadreza Djalali".
L'appello di Amnesty e di Zaki
"Ahmad deve essere rilasciato subito, le accuse contro di lui sono infondate!", scrivono da Amnesty International, che ha anche attivato una raccolta firme che ha raccolto quasi 300 mila adesioni. Ma sulla vicenda di Djalali si è espresso anche Patrick Zaki. Lo studente egiziano dell'università di Bologna recentemente liberato dall'Egitto dopo una lunga detenzione ha parlato di Ahmadreza Djalali durante tutte le interviste rilasciate da quando è tornato in Italia.