Tribunale

Turni massacranti per gli autisti: tre condanne alla Maifredi di Castelletto

Secondo l'accusa gli autisti sarebbero stati costretti a fare turni anche di 18-20 ore consecutive

Turni massacranti per gli autisti: tre condanne alla Maifredi di Castelletto
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Turni massacranti per gli autisti della Maifredi: il processo al tribunale di Novara si conclude con tre condanne per le persone che all'epoca erano responsabili della ditta di autotrasporti.

Sentenza per il caso della Maifredi

Sette anni e mezzo complessivi di carcere, a fronte dei diciotto chiesti dalla pm. Si è concluso così il processo di primo grado svoltosi al tribunale di Novara che ha visto comparire a giudizio le persone che all’epoca dirigevano la Maifredi Autotrasporti Srl di Castelletto Ticino, azienda leader nella catena del freddo, accusati di aver “schiavizzato” alcuni autisti facendoli guidare negli anni passati per un numero di ore di fila superiore a quello consentito dalle normative vigenti, che avrebbero, per l’appunto, violato. La sentenza è arrivata martedì 18 aprile, mentre il procedimento aveva preso il via nell’ottobre del 2021.

Tre le condanne

Nei guai, a vario titolo, per associazione per delinquere finalizzata alla rimozione delle cautele contro gli infortuni sul lavoro e all’estorsione – ma quest’ultimo reato è stata escluso “perché il fatto non sussiste” – erano finiti la pombiese Gigliola Plebani, 66 anni, soprannominata “la Tigre della Malesia”, considerata a capo dell’organizzazione e all’epoca nel consiglio di amministrazione della società (chiesti 8 anni dalla pm, ne ha presi 4), il figlio Maurizio Maifredi, 39 anni, di Castelletto Ticino, specializzato, per l’accusa, nella pulitura dei dischi e nella cancellazione di tutte le tracce relative alle violazioni di legge (chiesti 6 anni, ne ha presi 2 con la sospensione condizionale della pena) e il novarese Massimo Ghidoni, di 65 anni ritenuto il braccio esecutivo degli altri due, tanto da essere nominato amministratore unico di una cooperativa che sarebbe stata utilizzata per reclutare gli autisti, che lui stesso avrebbe poi gestito (chiesti 4 anni, ne ha presi 1 e mezzo). Il collegio giudicante era composto da Niccolò Bencini e Gianluca De Rosa ed era presieduto da Sveva Sicoli.

Le indagini presero il via nel 2014

I fatti al centro processo risalgono al 2014. Circa una ventina i camionisti coinvolti, una parte dei quali si sono costituti parte civile e hanno ottenuto una provvisionale di 3 mila euro ciascuno. Secondo l’accusa, anche con minacce e pressioni, sarebbero stati costretti a turni massacranti e viaggi fino a 18-20 ore consecutive – invece delle 9 previste –, senza riposo e con seri rischi per la loro sicurezza. Diversi sarebbero stati gli incidenti nel tempo. Secondo la pm Silvia Baglivo titolare del fascicolo aperto a suo tempo dalla procura, per far sembrare tutto regolare il numero di ore lavorate sarebbe stato falsificato “ex post” tramite la manomissione dei dischi, ovvero degli strumenti di registrazione. Per gli autotrasportatori non ci sarebbe stata possibilità di protestare: o così o il licenziamento. Per la difesa, invece, che ha sempre ribadito l’innocenza dei tre finiti alla sbarra, gli autisti non erano alle dirette dipendenze della ditta di via Sivo, bensì di cooperative e società pare ruotanti attorno alla Maifredi, e comunque nessuno di loro sarebbe mai stato sfruttato né minacciato. Alcuni camionisti, va detto, hanno testimoniato in tal senso.

Probabile il ricorso in Appello

A far partire l’inchiesta ribattezzata “Jukebox” erano stati gli agenti del distaccamento della Polstrada di Arona, dopo aver ricevuto, nell’inverno del 2014, un esposto da uno degli autisti coinvolti. I poliziotti erano arrivati alla Maifredi. Durante un blitz che aveva coinvolto 50 agenti, era stata sequestra varia documentazione ed erano stati trovati diverse migliaia di file modificati nei computer. Inizialmente nei guai una decina di persone, le indagini erano state chiuse il 17 marzo 2016. L’altro giorno la sentenza di primo grado per i tre imputati. Possibile, ora, il ricorso in Appello dopo che saranno depositate le motivazioni.

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