Omicidio di Pombia: verdetto da rifare per Antonio Lembo
La decisione sulla pena di uno dei due killer torna alla Corte d'assise
Omicidio di Pombia: colpo di scena in Cassazione per la pena comminata a uno dei killer di Matteo Mendola.
Omicidio di Pombia: verdetto da rivedere
E’ definitiva la condanna per uno dei killer dell’omicidio Mendola, mentre la Cassazione ha annullato la sentenza per il complice. E’ quanto deciso dai giudici della suprema Corte, che si sono espressi di recente nei confronti dell’assassinio del 33enne gelese Matteo Mendola, avvenuto il 4 aprile 2017 nei boschi di Pombia. Nessuno sconto, dunque, per Angelo Mancino, 41 anni, aretino, che ha sempre negato ogni addebito e si ritrova sulle spalle la condanna definitiva a 30 anni di reclusione, dopo che è stato respinto il ricorso dei suoi legali. La stessa Corte romana ha, invece, annullato - con rinvio - la condanna per l’altro coinvolto, Antonio Lembo, 31 anni di Busto Arsizio. La sua posizione dovrà essere rivalutata dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Torino, almeno per quanto riguarda l’entità della pena, che scenderà.
La palla ripassa alla Corte d'assise
Anche per Lembo, che dopo l’arresto aveva ammesso i fatti, nei primi due gradi di giudizio era stata disposta la condanna a 30 anni di detenzione, al termine del rito abbreviato. L’avvocato difensore Gabriele Pipicelli del foro di Verbania si è opposto facendo riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, e proprio questo aspetto ha convinto i giudici della Cassazione, che hanno rimesso il caso nuovamente alla Corte d’assise piemontese.
Una vicenda che ha scioccato tutto il Novarese
La famiglia di Matteo Mendola, costituitasi parte civile nel procedimento e assistita da Anna Maria Brusa e Giancarlo Trabucchi, sarà risarcita dei danni. Secondo quanto ricostruito da Mario Andrigo, il pm della procura di Novara che all’epoca aveva seguito il caso di cronaca nera, Mendola era stato attirato in una trappola da Mancino e Lembo, che lo avevano portato nei boschi di Pombia, in frazione San Giorgio, con la scusa di dover andare a commettere dei furti, ma vicino a un capannone abbandonato lo avevano eliminato a colpi di pistola, che poi avevano gettato in un canale lì nei pressi, e anche fracassandogli il capo con una vecchia batteria di auto. Il corpo dell’operaio gelese era stato trovato la mattina seguente il delitto da un pensionato che stava facendo una passeggiata. Le indagini svolte dai carabinieri avevano portato all’arresto dei due uomini e poi dell’imprenditore edile 54enne Giuseppe Cauchi (tirato in ballo da Lembo), che era stato identificato quale presunto mandante del delitto, ovvero colui il quale avrebbe ideato e dato l’ordine ai due killer di uccidere. Anche lui gelese e trapiantato nel Nord Italia come Mendola, secondo gli inquirenti aveva deciso di punire la vittima perché reclamava per ottenere un credito vantato dai suoi familiari. Cauchi, difeso dagli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo, è però stato assolto dalla Corte d’Assise di Novara nel novembre del 2019 e si attende ora la fissazione del giudizio di Appello, dopo il ricorso presentato dai pubblici ministeri.